Rivista "IBC" XX, 2012, 1

musei e beni culturali / didattica, mostre e rassegne, progetti e realizzazioni, pubblicazioni

Il Museo civico archeologico etnologico di Modena ha messo a punto un progetto e un'agenda per dialogare tra le culture tutti i giorni dell'anno.
Confronti quotidiani

Cristiana Zanasi
[Museo civico archeologico etnologico di Modena]

Il progetto di un'agenda interculturale, prodotta per la prima volta nel 2010 nell'ambito del progetto "MAP for ID - Museums as Places for Intercultural Dialogue", è stato ideato dal Museo civico archeologico etnologico di Modena per accogliere le riflessioni emerse nel corso di progetti realizzati con la partecipazione di gruppi di migranti e per trasmetterne i contenuti condividendoli con tutti coloro che sfoglieranno le sue pagine nel corso dell'anno. Proposta con cadenza biennale, l'agenda rappresenta uno strumento efficace per dare visibilità e continuità nel tempo all'impegno del museo sul fronte del dialogo interculturale. Si avvale di un'immagine coordinata che agisce da trait d'union fra le diverse esperienze e prevede un calendario che ospita tutte le festività dei paesi di provenienza delle comunità di migranti di volta in volta interessate. Consente, inoltre, di approfondire gli argomenti trattati in pagine dedicate, e di veicolare immagini di luoghi e di oggetti.

L'agenda 2010 ha accolto il progetto "Choose the Piece", che ha coinvolto un gruppo di 60 migranti (adolescenti e adulti) provenienti da 18 paesi, studenti presso il Centro territoriale permanente di Modena. Ai partecipanti è stata proposta l'adozione simbolica di oggetti delle raccolte del museo, a partire da un'idea condivisa di patrimonio culturale, inteso come bene che una comunità nel suo complesso è chiamata a conservare, tutelare, valorizzare.

L'agenda 2012 ospita il progetto "This Land is your Land", un dialogo a più voci sul tema della terra.1 Il museo, custode delle memorie del proprio territorio, e l'associazione "Casa delle Culture", punto di raccolta di storie di "altre terre", hanno messo in gioco la propria vocazione ed esperienza per offrire spunti e stimoli a una riflessione corale, che ha coinvolto anche docenti dell'Università di Modena e Reggio Emilia. I partecipanti, uomini e donne di 11 diversi paesi, sono figure di riferimento nell'ambito della propria comunità di appartenenza, che hanno accolto l'invito a collaborare, consapevoli delle ricadute positive che un'iniziativa di questo tipo può generare in termini di armonia sociale e di dialogo interculturale.

Prendendo come spunto di riflessione gli oggetti che il museo conserva ed espone, dagli strumenti agricoli usati nell'antichità fino alle testimonianze di vita rurale della "Raccolta del lavoro contadino e artigiano di Villa Sorra", sono emerse esperienze e ricordi personali riconducibili alle diverse realtà di cui ciascuno dei partecipanti custodisce in sé la memoria: la terra che separa, la terra che rafforza i legami o che li fa nascere, la terra come pagina sulla quale si sono sovrapposte infinite storie, la terra del duro lavoro e degli straordinari frutti, la terra che accoglie, la terra che scandisce il trascorrere del tempo.

Ne è scaturita una narrazione a più voci, ritmata dai racconti dei protagonisti e modulata sulle priorità che essi stessi hanno individuato fra i molteplici argomenti riconducibili a quel grande contenitore di memorie e aspirazioni che è la terra. Certamente, data la vastità del tema, nessuna di queste testimonianze si propone come esaustiva della problematica che affronta, ma semplicemente suggestiva, personale ma proprio per questo "unica".

Chi sfoglia le pagine di questa agenda troverà una raccolta di storie partecipate, nate dalla discussione e condivisione all'interno del gruppo, che congiungono idealmente Modena e il suo territorio ad Argentina, Congo, Albania, Ghana, Marocco, Colombia, Nigeria, Romania, Iran, Turchia, Ucraina; storie alle quali fanno da contrappunto i materiali legati alla terra presenti nelle raccolte del museo.

Se il progetto "Choose the Piece" ha connotato per un anno il Museo archeologico come luogo di dialogo interculturale attraverso le gigantografie dei partecipanti ritratti insieme agli oggetti adottati, con "This Land is your Land" si è voluto rendere il pubblico partecipe del percorso condiviso con i migranti attraverso una vera e propria esposizione/installazione.

Fra le sale di un museo così ancorato alla sua origine ottocentesca, tanto da conservarla come paradigma museografico, non può non colpire un allestimento che, pur dialogando con le raccolte, se ne distacca per la modernità dell'impianto: una struttura serpentiforme in materiale povero (il cartone riciclato) è stata forata per ricavare nicchie per gli oggetti archeologici, che racchiusi in cornici dal taglio grezzo e irregolare, affiancate da monitor che trasmettono filmati, interviste, immagini di altre terre, si trovano apparentemente fuori luogo. La superficie del cartone è stata stampata con sfondi evocativi e con testi che riportano, spesso in doppia lingua, le suggestioni emerse dal dialogo. I colori scelti per connotare le diverse sezioni fanno da guida alla "lettura" degli argomenti trattati.

Chi entra nel salone dell'archeologia viene accolto in modo irrituale, dalla voce in sottofondo di Woody Guthrie. Aver tratto ispirazione per il titolo di questo progetto dalla nota ballata "This Land is your Land", composta nel 1940 dal cantautore americano, non è stata una scelta casuale. Le sue strofe hanno infatti assunto, nel tempo, un significato di manifesto musicale di tolleranza e solidarietà sociale, che trascende ormai il contesto stesso in cui la canzone era nata. Nel tempo, altre strofe si sono aggiunte, altre probabilmente se ne aggiungeranno. Come in una staffetta ideale, abbiamo accolto a nostra volta il testimone, unendoci al coro e scrivendo anche noi una nuova strofa insieme alle persone con le quali abbiamo condiviso questo percorso.

La prima sezione, dal titolo "La terra divisa", sviluppa quasi didascalicamente una serie di considerazioni che avvicinano il visitatore a ciò che accomuna i protagonisti del progetto: la terra è da tempo immemorabile soggetta a divisioni; da sempre l'uomo ha cercato di superarle, anche quando si sono trasformate in barriere invalicabili; colui che ha conosciuto uno spostamento volontario o forzato è un migrante. I migranti del progetto "This Land is your Land" raccontano da uno dei monitor il "loro" migrare in Italia attraverso storie di partenze e arrivi, e richiamano simbolicamente le loro origini attraverso l'esposizione di una manciata di terra del proprio paese di provenienza.

Un'ascia in selce, il reperto più antico conservato dal Museo, testimonianza della presenza nel territorio modenese di cacciatori raccoglitori nomadi (i primi migranti?) trecentomila anni fa, ha richiamato storie di "altri" nomadi, seppure appartenenti a un altro momento storico: i Tuareg dell'Africa subsahariana, significativamente rappresentati dai loro simboli (il velo indaco, la teiera e la croce di Agadez).

Con la stessa modalità, oggetti simbolo dell'avvenuta sedentarizzazione neolitica, macine e contenitori in ceramica, hanno rappresentato il punto di partenza di riflessioni e testimonianze su "La terra condivisa": dal diritto di trarre giovamento dai suoi frutti, alla necessità di fruirne collettivamente, dall'insieme di regole che comporta il vivere collettivo, all'organizzazione del lavoro, senza dimenticare il vantaggio di una relazione responsabile fra gli esseri umani e la terra. Innumerevoli sono le immagini che accompagnano il visitatore in un viaggio attraverso le campagne ghanesi, ucraine, turche, modenesi, rumene, scandite da proverbi e modi di dire in dodici diverse lingue del mondo.

Non sempre, nella storia più antica così come nella contemporaneità, l'uomo ha sviluppato una relazione responsabile con la natura. Se il Museo ne conserva una testimonianza tangibile attraverso le storie narrate dai reperti delle terramare dell'età del Bronzo, probabilmente scomparse anche a causa di un eccessivo sfruttamento dell'ambiente, i migranti accolti in Museo hanno portato drammatiche testimonianze sulla "Terra (in)difesa". In Congo, Nigeria, Argentina, Colombia, le parole chiave dello sfruttamento delle risorse naturali sono coltan, petrolio, oro, coca, il cui saccheggio, perpetrato con ogni mezzo, ha ormai snaturato l'originario rapporto fra uomo e ambiente. Struggente è il racconto di Germain, sacerdote congolese, che dagli schermi della mostra riporta la supplica rivolta al papa da un gruppo di anziani di un villaggio: "che vengano prese tutte le risorse del Congo, una volta per tutte, e che ci venga lasciata solo la terra".

La relazione con la terra si esprime anche attraverso le forme di ritualità elaborate dall'uomo per dialogare con un'entità che assume connotati diversi a seconda della sua duplice funzione: dimora dei defunti e produttrice di vita. I riti della terra presentati nella mostra accostano idealmente - in una successione suggestiva di immagini, oggetti e filmati - la Venere di Savignano alla Pachamama delle popolazioni andine, la casa degli antenati congolese alla mitologia che accompagna il consumo della chicha colombiana fin dai tempi antichi (come dimostra il contenitore di questa bevanda, conservato nelle raccolte etnologiche del Museo), il Caloianul rumeno al rito modenese della Cargaria ed San Steven: usanze, credenze, tradizioni, cerimonie per propiziare il buon raccolto o scongiurare il maltempo. La ricchezza dell'universo simbolico delle tradizioni ucraine è evocata da un didukh (letteralmente "spirito degli antenati"), il primo covone del raccolto che viene esposto nelle case la vigilia di Natale, e dalle coloratissime uova pasquali decorate (pysanka), entrambi fortemente collegati alla fertilità dei campi.

Non è stato semplice immaginare come concludere l'esposizione, probabilmente perché per tutti i partecipanti - migranti, Museo, "Casa delle Culture" - il dialogo sul tema della terra è potenzialmente infinito. Abbiamo deciso di scegliere un oggetto dal forte valore simbolico, più volte evocato nei nostri incontri, un oggetto che riassume in sé tutte le caratteristiche per diventare il manifesto di questo percorso che, partendo dal rapporto che ogni individuo ha con la propria terra e le sue tradizioni, getta uno sguardo sul mondo intero: è il "trattore-mappamondo" di Casa Cervi. Due oggetti apparentemente diversi che lo stesso Alcide Cervi, padre dei sette fratelli barbaramente uccisi dai fascisti nel 1943, acquista e assembla per congiungere idealmente la fiducia nel futuro del lavoro e lo slancio visionario di chi gettava lo sguardo oltre i confini, sul mondo intero.

Ed è su quest'ultima suggestione che il testimone passa a chi visiterà la mostra e a chi sfoglierà l'agenda: il sito www.agendainterculturale.modena.it, creato per dare continuità al progetto, invita infatti a lasciare commenti, racconti, testimonianze così da aggiungere "nuove strofe" a "This Land is your Land". La mostra è visitabile fino al 27 maggio 2012. Dal mese di febbraio, fino alla chiusura, verrà proposto al pubblico un calendario di iniziative, realizzato in collaborazione con i partecipanti, che, coniugando approfondimenti, musica, teatro e convivialità, terrà vivo il dialogo sulla terra fino alle soglie dell'estate.


Nota

(1) Il progetto, diretto da Ilaria Pulini, è stato coordinato da Cristiana Zanasi e Giorgio Cervetti (Museo civico archeologico etnologico di Modena) e realizzato con la collaborazione di Marco Coltellacci (associazione "Casa delle Culture" di Modena), Milena Bertacchini, Gino Satta (Università di Modena e Reggio Emilia) insieme a: Mustafà Altin (Turchia), Idris Bakkari (Marocco), Wilfred Eke (Nigeria), Cécile Kashetu Kyenge (Repubblica Democratica del Congo), Anton Lesaj (Albania), Thomas Mc Carthy (Ghana), Germain Nzinga (Repubblica Democratica del Congo), Iryna Polishchuk (Ucraina), Irma Romero (Colombia), Mona Seddighi (Iran), Nora Sigman (Argentina), Anca Totolici (Romania). Allestimento della mostra: Fausto Ferri, Filippo Partesotti; progetto grafico: Filippo Partesotti; strutture espositive: Aldina Progetti snc.

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