Rivista "IBC" XX, 2012, 2

interventi, storie e personaggi

Giovanni Gozzadini, Antonio Zannoni, Edoardo Brizio: tre archeologi a confronto nella Bologna dei primi anni dell'Italia unita.
Uniti... dagli scavi

Valentina Bonaccorsi
[stagista presso i Musei civici d'arte antica, Ferrara]
Giuseppe Muscardini
[Biblioteca dei Musei civici d'arte antica, Ferrara]

Il discrimine temporale fra l'Italia unitaria e la situazione politica precedente, si sostanzia nella proverbiale antinomia fra "vecchio" e "nuovo". In ambito archeologico le due rispettive concezioni si incarnano nelle figure di Giovanni Gozzadini e di Antonio Zannoni. Tra i due intercorre un salto generazionale di 23 anni e una differente formazione culturale, che si traduce in una conflittualità originata da orientamenti diversi nella conduzione degli scavi archeologici, a cui entrambi furono preposti.

L'autorevolezza culturale di Gozzadini è testimoniata dalla frequentazione di Giosue Carducci: una collaborazione costante, dalla quale il poeta delle Odi barbare risulta beneficiato. È lo stesso Gozzadini che gli fornisce la notizia del ritrovamento del "memoriale bolognese" duecentesco presso il locale Archivio di Stato, dove si scoprì la presenza di ballate stilnoviste fra gli atti di vendita e le stime catastali. Questo consentì al Carducci di trattare nel 1876 gli insoliti componimenti e di studiarne attentamente le parti e la metrica, fino a individuare nei versi con incipit "Partite amore, adeo" l'unico esempio in Italia di alba provenzale.1 Studi che a pochi anni dall'Unità nazionale agirono profondamente sulla consapevolezza degli italiani di detenere un qualche primato sia nella ricerca filologica, con la scoperta di celatissime e singolari liriche miracolosamente affiorate tra fitte clausole notarili, sia nell'evolversi delle scienze archeologiche, con i reperti dell'antichità restituiti in quegli stessi anni dalla terra attorno a Bologna.

Lo stesso Carducci non era alieno da questioni di archeologia, come riscontriamo in una lettera inviata da Bologna al conte Giovanni Codronchi Argeli, dove sollecitava con insistenza l'aristocratico imolese a visitare la grotta del Farneto scoperta da Francesco Orsoni nel 1871: "Onorevole Signor Conte, La prego e la scongiuro di trovare un po' di tempo per andare a visitare la grotta del Farneto, che io credo di grande importanza e che ogni giorno rende in luce documenti e monumenti della vita antichissima degl'Italici".2

Le complesse vicende storiche e politiche che culminarono con l'Unità d'Italia videro come protagonisti molti funzionari delle istituzioni statali e locali. Gli studiosi di archeologia, spesso anche in veste di esponenti politici, parteciparono alle prime iniziative di tutela del territorio e promossero circoli culturalmente attivi, come dimostrano i frequenti incontri voluti da Giovanni Gozzadini e dalla moglie, Maria Teresa Serego Allighieri, ai quali aderirono (oltre a Carducci) Montelius, Mortillet, Conestabile, Schliemann e Capellini.3 Del resto, le scoperte archeologiche e le vicende culturali si sono sempre intrecciate con gli eventi storici e politici. Non sorprende, pertanto, se con il raggiungimento dell'unità nazionale il proposito culturale primario, espresso dalle Deputazioni nel 1860, facesse leva sul recupero delle storie locali e delle singole identità.

La sensibilità per il problema della ricerca delle antichità patrie coincise con la rinnovata attenzione per la civiltà etrusca, vista storicamente come la prima civiltà capace di unificare i popoli italici. All'apice della loro espansione, gli Etruschi estesero i propri confini di influenza culturale in gran parte della Penisola, dalle Prealpi a Salerno. Un ambito di indagine che nella temperie politica della seconda metà dell'Ottocento si caricò di grande significato, poiché fu proprio nella struttura federale etrusca che, nell'ultima fase del nostro Risorgimento, si volle vedere l'antecedente storico dell'Unità d'Italia.

Particolarmente significative, a questo proposito, le parole pronunciate dal professor Giuseppe della Fina: "Oggi può sembrare strano legare gli Etruschi al Risorgimento italiano, ma non è così. Occorre, infatti, pensare che dai primi decenni del Settecento si cominciò a pensare a un'unità culturale, ma anche politica della nazione italiana. Sembrava possibile un'unificazione soltanto su base federale e, quindi, sia i filosofi della politica sia gli archeologi e gli intellettuali in senso più generale videro il precedente etrusco [...] come l'antecedente di una possibile nuova unificazione dell'Italia".4


Protagonisti di questa fase di cambiamento e della grande stagione degli scavi bolognesi furono tre personalità: i già citati Giovanni Gozzadini e Antonio Zannoni, a cui si aggiunge Edoardo Brizio. Grazie al clima di partecipato interesse per le antichità, questi uomini trovarono terreno fertile per i loro studi e le loro ricerche.

Figura di spicco della vita politica risorgimentale, Giovanni Gozzadini ricoprì ruoli di primo piano a livello statale e cittadino.5 A lui si deve, nel 1853, la scoperta dei reperti appartenenti alla civiltà villanoviana, fino a quel momento sconosciuta, rinvenuti nella sua tenuta agricola di Villanova di Castenaso. Questi ritrovamenti fortuiti diedero il via a una serie di scavi programmati nella periferia di Bologna, iniziati nel 1869 con la scoperta della necropoli felsinea della Certosa a opera di Giovanni Zannoni. I rapporti fra Gozzadini e Zannoni, come precedentemente rilevato, furono spesso conflittuali. La polemica si inasprì soprattutto durante gli scavi della Certosa, da cui Gozzadini - che vantava oltre quindici anni di esperienza in campo archeologico e che all'epoca era presidente della Deputazione bolognese - si sentiva costantemente estromesso da Zannoni, spesso incurante dei vincoli di legge per gelosia della scoperta e per manifesta perplessità riguardo ai metodi ormai antiquati del collega.6

Gozzadini si distinse dalle altre personalità del suo tempo per il sapere enciclopedico e per l'interesse indifferenziato nei confronti del passato, quando invece i contemporanei erano maggiormente orientati verso conoscenze specializzate. Questa metodologia di studio caratterizzerà la sua attività per tutta la vita, rendendone storicamente superate le ricerche scientifiche e archeologiche dalla fine degli anni Settanta dell'Ottocento.


In contrasto con il metodo di stampo filologico-antiquariale e in un periodo in cui "secondo una vecchia e mala usanza gli scavatori solevano rintracciare le anticaglie sepolte, allettati da una sola bramosia, mirante a un proposito solo, impadronirsi di quelle belle e pregevoli",7 Zannoni adottò un sistema di indagine fortemente innovativo, mutuato dalla geologia, che fece di lui uno dei primi studiosi ad applicare una scrupolosa registrazione dei reperti e un'accurata documentazione dei contesti di rinvenimento. Egli affermava testualmente: "Un diligente scavatore spesso vale più che lunghe esposizioni di uomini dotti sì, ma visionari [...;] il più piccolo avanzo delle antichità ci insegna più di ogni libro [...]. L'archeologo nulla deve trascurare delle sue scoperte; anche i minimi granelli devono essere raccolti; lasciati sul terreno periranno infradiciando, coltivati sono capaci, quando che sia, di utili frutti".8

Le scoperte alla Certosa furono rese pubbliche nel 1871 durante l'inaugurazione del primo Museo civico nelle sale dell'Archiginnasio, in un fervente clima postunitario denso di nuove iniziative. L'evento si svolse alla presenza delle massime autorità scientifiche del tempo: oltre allo stesso Zannoni, Luigi Pigorini, Jens Jacob Asmussen Worsaae, Edoardo Brizio, Gabriel de Mortillet, Antonio Stoppani e Francesco Rocchi, tutti presenti al "V Congresso di Antropologia e Archeologia preistoriche", tenutosi a Bologna dall'1 all'8 ottobre dello stesso anno, sotto la presidenza di Giovanni Gozzadini, con Giovanni Capellini segretario.

Durante il congresso venne inoltre organizzata un'esposizione di reperti appartenenti alle raccolte di enti e collezionisti privati, che offrì agli studiosi l'occasione unica di poter studiare e comparare tra loro manufatti rari e spesso inediti. La rappresentatività di tutte le regioni italiane, che con le loro collezioni aderirono al congresso, risultò una valida opportunità per documentare quanto si era fatto ad appena dieci anni dall'Unità nazionale, non solo sul piano politico, ma anche culturale. L'evento godette del sostegno dei Savoia, elevati a simbolo della neonata unità nazionale e sostenitori delle nuove teorie laiche ed evoluzioniste dell'archeologia preistorica, in netto contrasto con l'immobilismo clericale.

Lo studio dei dati raccolti durante lo scavo della Certosa convinse Zannoni dell'esistenza di altri sepolcreti intorno a Bologna: estendendo le ricerche verso la città moderna, vennero alla luce altri complessi archeologici, formati da resti d'abitato e da circa millecinquecento tombe villanoviane e felsinee. Tra il 1871 e il 1878 vennero indagate le aree periferiche occidentali che congiungevano Bologna alla Certosa, riportando alla luce le necropoli dei fondi Arnoaldi, Tagliavini, Benacci, Stradello della Certosa e De Luca. Particolarmente importanti furono gli scavi del fondo Benacci, che in tre anni restituirono 740 tombe villanoviane e 251 tra galliche e romane, il cui materiale venne collocato nel 1881, grazie all'intervento di Brizio, nel salone X del Museo civico.9 Come per la Certosa, la documentazione relativa allo scavo e alla sistemazione dei materiali fu rigorosa, riportando, anche mediante l'utilizzo di fotografie e disegni, notizie dettagliate sulla stratigrafia, la giacitura, il rituale funerario e il corredo.

Dallo spoglio del primo volume di Notizie degli Scavi di Antichità è possibile circostanziare tutte le fasi di scavo datate al 1876, relative alle necropoli bolognesi. Preziose le informazioni riguardanti il fondo Benacci, di cui Zannoni inviò resoconto quindicinale a Gozzadini dall'1 marzo al 19 agosto 1876, perché venissero comunicate alla Direzione generale degli Scavi e dei Musei, e successivamente trasmesse all'Accademia dei Lincei per la pubblicazione.

Sebbene Zannoni avesse sempre dimostrato grande rigore nella ricerca archeologica e nella documentazione, non poté sottrarsi alle critiche di quella parte di studiosi appartenenti alla "vecchia scuola", che non mancarono mai di sottolineare la sua formazione tecnica piuttosto che archeologica. A sua difesa, Zannoni ribadì: "Io sono ben lungi da ogni presunzione di scienza: io sono un operaio, ecco i materiali che ho tolti dalla terra e che porto per un grande edifizio (edifizio della ricostruzione storica). Bisogna che alla costruzione di questo edifizio concorrano i maestri tutti".10 Ma Capellini, in una lettera a Gozzadini osservò: "Riguardo all'Ing. Zannoni, sarebbe tempo che certa gente si persuadesse che scavare o aggiustare qualche oggetto non vuole dire essere uomo di scienza. Gli operai belgi che hanno scavato nelle miniere ne sanno mille volte più di Zannoni, ma non per questo pretendono di essere professori".11


La terza grande personalità del periodo postunitario fu Edoardo Brizio. Laureatosi con Ariodante Fabretti, studiò presso la prima Scuola archeologica italiana, istituita da Giuseppe Fiorelli per la formazione di una nuova classe di archeologi italiani: "L'Italia restituentesi a unità e dignità di nazione ricca di monumenti superbi [...] aveva bisogno di un'archeologia nostrale viva e operosa [...;] c'erano fino a ora curatori vecchi e giovani dell'antico, ma operanti isolatamente, disgregati gli uni dagli altri, dediti a ricerche eclettiche: vi era insomma smembrata e sparsa qua e là la dottrina dell'antichità, ma non v'era una scienza italiana di monumenti".12

Brizio arrivò a Bologna nel 1871 per lavorare al catalogo del primo Museo civico archeologico, inaugurato lo stesso anno. Ottenne cinque anni dopo la cattedra di Archeologia e numismatica, attirandosi l'ostilità degli studiosi appartenenti alla vecchia scuola archeologica che già avevano fortemente osteggiato Zannoni.

A dispetto delle critiche, a Brizio si ascrive un posto fondamentale nell'ambito dell'archeologia nazionale: innovò profondamente le ricerche, le tecniche di scavo e la formazione universitaria dei nuovi archeologi, svecchiandola dall'ormai asfittica tradizione antiquaria settecentesca. Iniziando a insegnare la storia dell'arte classica secondo il metodo proprio della scuola tedesca, ottenne risultati soddisfacenti nell'ambito dell'archeologia italica, individuando la celebre sequenza cronologica per Bologna (preistoria, fase villanoviana, fase felsinea, fase gallica e fase romana), che si tradusse, ma solo diversi anni dopo, nell'istituzione della cattedra di Antichità umbro-etrusche-galliche, a tutti gli effetti il primo insegnamento di Etruscologia introdotto nell'università italiana.


Note

(1) Per gli studi condotti da Carducci sui memoriali bolognesi si rimanda a: G. Carducci, Intorno ad alcune rime dei secoli XIII e XIV ritrovate nei memoriali dell'archivio notarile di Bologna, "Atti e Memorie" della Reale Deputazione di Storia Patria per le province di Romagna, II, 11, Bologna, Romagnoli, 1876, poi in Archeologia poetica, vol. XVIII delle Opere di Giosue Carducci, Bologna, Zanichelli, 1908, pp. 107-282. Studi più recenti si devono a Sandro Orlando, curatore del volume: Rime dei memoriali bolognesi, Torino, Einaudi, 1981.

(2) Lettera a Giovanni Codronchi, Bologna, 1 ottobre 1887, in Edizione Nazionale delle opere di Giosue Carducci, Bologna, Zanichelli, 1953, vol. XVI, 1886-1888, n. 3906, p. 183. La lettera è stata pubblicata da Paolo Rocca nel "Corriere padano" del 16 febbraio 1935.

(3) Il rapporto fra gli archeologi bolognesi e Carducci è stato recentemente inquadrato da Maurizio Harari nel contributo: Fabretti, Brizio e Carducci: un triangolo della prima Italia, "Quaderni della Soprintendenza Archeologica del Piemonte", 2010, 25, pp. 119-122. Si esprime qui un ringraziamento allo stesso Maurizio Harari per averci fornito il testo intitolato Giosue Carducci e i selvaggi di Villanova, ora nel volume curato da Giuseppe M. Della Fina, La fortuna degli Etruschi nella costruzione dell'Italia Unita, atti del XVIII Convegno internazionale di studi sulla storia e l'archeologia dell'Etruria, Annali della Fondazione per il Museo "Claudio Faina", vol. XVIII, Roma, Edizioni Quasar, 2011, pp. 425-436

(4) Dichiarazione resa in occasione del citato XVIII Convegno internazionale di studi sulla storia e l'archeologia dell'Etruria.

(5) Sulla figura e l'opera di Giovanni Gozzadini, senatore del Regno (1860), presidente della Deputazione di storia patria per le Provincie di Romagna, ispettore degli scavi e dei monumenti di Bologna e Provincia (1875), regio commissario per i musei e gli scavi dell'Emilia e delle Marche (dal 1877), poi direttore generale del nuovo Museo civico di Bologna dal 1878, si rimanda al recentissimo contributo di F. Lenzi, Archeologia e amor di patria: protagonisti, fatti e politica prima e dopo l'unificazione del paese, in "...E finalmente potremo dirci italiani", a cura di C. Collina e F. Tarozzi, Bologna, Editrice Compositori, 2011, pp. 293-310. Si veda inoltre: A. Dore, "...Da questo suolo disseppellì le genti e le civiltà vetuste". Giovanni Gozzadini fra indagini archeologiche e Museo Civico, in Giovanni Gozzadini nel bicentenario della nascita 1810-2010, a cura di R. Rimondini, M. Sindaco, T. Trocchi, Castenaso (Bologna), Comune di Castenaso, 2011, pp. 25-40. Un doveroso ringraziamento a Valeria Cicala (Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna) per le indispensabili informazioni bibliografiche ricevute in merito alla figura di Gozzadini.

(6) Il difficile rapporto tra Gozzadini e Zannoni è stato indagato da Daniele Vitali e Cristiana Morigi Govi nei rispettivi contributi intitolati: La scoperta di Villanova e il Conte Giovanni Gozzadini e Antonio Zannoni: dagli scavi della Certosa alle "arcaiche abitazioni", pubblicati in Dalla Stanza delle Antichità al Museo Civico, Bologna, Grafis Edizioni, 1984, pp. 223-237 e pp. 243-258.

(7) Si veda: G. Ghirardini, Antonio Zannoni, "Atti e memorie" della Deputazione di storia patria della Romagna, IV, II, 1912, p. 552.

(8) A. Zannoni, Gli scavi della Certosa di Bologna descritti ed illustrati dall'ingegnere architetto capo municipale Antonio Zannoni, Bologna, Regia tipografia, 1876, p. 45. Sulla figura di Zannoni: A. Dore, Antonio Zannoni archeologo, in Antonio Zannoni nel 150° dell'Unità d'Italia, Atti della giornata di studi a cura dell'Archivio storico del Comune di Bologna (Bologna, 22 ottobre 2011), in corso di stampa.

(9) Per approfondimenti sulle prime campagne di scavo del fondo Benacci si rimanda a: Notizie degli scavi di antichità comunicate alla R. Accademia dei Lincei, anno 1876, Roma, Salviucci, 1876, estratto dal tomo III, serie II degli "Atti della Reale Accademia dei Lincei", 1876; Il sepolcreto villanoviano Benacci: storia di una ricerca archeologica, Bologna, Museo civico archeologico, 1996.

(10) "Storicamente", www.storicamente.org/05_studi_ricerche/sassatelli.htm.

(11) Ibidem.

(12) Ibidem.

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