Rivista "IBC" XXII, 2014, 2

Dossier: Storia dal "quotidiano"

musei e beni culturali, dossier /

Savio fu il fiume che celò i reperti

Giancarlo Susini
[storico e archeologo, già consigliere dell’IBC]

Una storia appassionante è quella della formazione unitaria dell'Italia, del suo assetto civile dopo il 1860 e il 1870: se ne è scritto tanto, ma molto resta da sviscerare, da scoprire e da discutere. Per esempio, dell'organizzazione che negli ultimi decenni dell'Ottocento si computò per le raccolte del patrimonio storico, quindi per i musei - da rinnovare o da creare di nuovo - e per gli archivi. Si tratta di una storia per lo più silente, composta di molti provvedimenti amministrativi, di non facili confronti culturali tra i ceti già emergenti negli stati italiani prima dell'unificazione e i ruoli che si venivano formando nelle nuove strutture nazionali. Per capire questa laboriosa genesi di un diverso assetto dei beni culturali, occorre tenere presenti almeno tre importanti fattori: anzitutto, la radicata tradizione umanistica che in molti luoghi aveva favorito la formazione di raccolte di antichi monumenti e oggetti, oppure si era manifestata nella trascrizione di antiche scritture, per la curiosità o la passione dei modelli "classici", o per i bisogni delle scuole di retorica oppure per la ricerca degli incunaboli del diritto.

A Sarsina, per esempio, un antichissimo vescovato dell'Appennino romagnolo - proprio di Sarsina parleremo qui sotto - si conserva una minuscola lapide del Quattro-Cinquecento dove è inciso un broccardo, cioè una sentenza morale e prescrittiva ricavata dalla sapienza antica, che recita: Carere debet omni vitio qui in alterum dicere paratus est, che è come dire che chi si appresta a muovere accuse a qualcuno deve avere le mani pulite. Inoltre, quando si trattava di antiche e belle scritture, almeno a partire dal Cinque e Seicento si aggiunse in molti luoghi storici dell'Europa il bisogno di fornire esempi e modelli alle nascenti tipografie, per la creazione di accurati caratteri a stampa.

Un altro fattore che giuocò un ruolo importante per l'assetto dei beni culturali e delle loro raccolte dopo l'unificazione italiana fu la crescente pulsione europea verso la pubblicazione di grandi corpora, cioè di raccolte organiche di monumenti e documenti dell'antichità e del Medioevo: l'impero francese e la potenza prussiana primeggiarono in questa gara, affiancati dagli Asburgo. Fu così che a Sarsina nel 1873 salì a dorso di mulo il maestro di epigrafia nell'università di Vienna, Eugenio Bormann, che un anno più tardi pubblicò a Berlino il suo delizioso saggio sulle scritture romane dell'antica città appenninica.

Infine va tenuto presente il bisogno culturale profondo e crescente che nel Paese di fine Ottocento imponeva una conoscenza più capillare, meno elitaria e più "comune" del patrimonio delle origini: si organizzavano così i primi grandi musei civici e nazionali, e talvolta - fuori strada rispetto alle grandi vie o ferrovie, e in centri vetusti ma non coincidenti con capitali storiche - altri musei comunali. Tra questi "minori" (non per la rilevanza del patrimonio raccolto ma per il ruolo decentrato del luogo) un primato nazionale (e anzitutto regionale) spetta proprio a Sarsina: questo museo commemora quest'anno il suo secolo, poiché fu fondato nel 1890 per l'iniziativa di Antonio Santarelli, un archeologo forlivese di autentica statura scientifica.

Il museo sarsinate di cento anni fa si formò attorno alla veneranda raccolta epigrafica che tre secoli prima, o quasi (la prima edizione risale al 1607) era stata oggetto di una non trascurabile dissertazione da parte di un umanista locale, Filippo Antonini. Ma i campi e le vecchie murature cittadine continuavano a far uscire pietre antiche: tanto che si giunse negli anni Venti di questo secolo alla scoperta di una tra le più prestigiose necropoli monumentali del mondo antico. Si trattava di una sequenza di altissimi monumenti a edicola e guglia piramidale, costruiti tra il tempo di Cesare e quello di Tiberio, forse per l'impulso artistico e le indubbie capacità economiche di imprenditori e proprietari terrieri affiancati da tecnici e liberti di origine levantina. La necropoli continuò a crescere e ad ampliarsi sino alla tarda antichità, quando un'alluvione del fiume Savio non la allagò tutta e la colmò di terriccio: per la fortuna e l'impegno degli archeologi e degli amministratori futuri.

Fu così che il museo divenne, come tuttora è, "nazionale", arricchendosi di altre scoperte, come quella di un prestigioso santuario di divinità orientali (egizie, frigie, persiane) e di altre novità, anche recentissime, frutto delle pratiche più avanzate dell'archeologia militante. Numerosi archeologi hanno legato il loro nome alla secolare vicenda del museo di Sarsina, come Salvatore Aurigemma, Traiano Finamore, Guido Achille Mansuelli, e oggi chi è noto anche per il recupero degli strati cittadini di Bologna romana, cioè Jacopo Ortalli.

Saranno in molti - domani e domenica - da tanti paesi europei e d'altri continenti, a raccogliersi a Sarsina per un Colloquio internazionale, a fare il punto sulla storia antica, sulle vicende della tradizione umanistica, sulla formazione del museo, sulla progettazione di un nuovo museo, sul ruolo che la cultura storica può assolvere per comprendere il quotidiano e i problemi di oggi. Un secolo alle spalle, molti secoli di storia: conoscerli e capirli può aiutare il futuro.


[articolo di Giancarlo Susini; "il Resto del Carlino", 30 marzo 1990]



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