Rivista "IBC" XXIII, 2015, 2

musei e beni culturali / inchieste e interviste, leggi e politiche, progetti e realizzazioni

Che cos'è l'archeologia per i comuni cittadini europei? E che valore le danno i rappresentanti politici? Il progetto "NEARCH" indaga in maniera inedita sul nostro rapporto con il passato, lanciando anche un concorso internazionale.
Archeologia secondo me

Maria Pia Guermandi
[IBC]

Che cos'è l'archeologia? Alla ricerca di una risposta a questa domanda apparentemente banale, 14 istituzioni di ricerca e di gestione del patrimonio di 10 paesi europei - fra cui, per l'Italia, l'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna - hanno elaborato il progetto "NEARCH - New Scenarios for Archaeology". Finanziato dalla Commissione europea nell'ambito del programma "Culture 2007-2013", "NEARCH" si propone di indagare l'odierna percezione della disciplina e del patrimonio archeologico per i cittadini europei ( www.nearch.eu).

Gli "europei" a cui vogliamo riferirci comprendono in questo caso anche i "nuovi" cittadini, coloro per i quali il nostro passato, più distante e problematico, può invece rappresentare uno strumento di dialogo multiculturale fondamentale e a tutt'oggi solo superficialmente esplorato sotto questo aspetto. Ma tra i destinatari del progetto ci sono anche i politici, ovverosia i decisori, coloro a cui è demandata l'elaborazione di quelle politiche culturali che l'Europa di questi ultimi complicatissimi anni ha di fatto trascurato, come risulta drammaticamente evidente dall'attuale programma quadro di sviluppo "Horizon 2020" che, fra i pilastri costitutivi della ricerca e dell'innovazione europei, si dimentica proprio di quello culturale.

Di fronte a questo evidente ridimensionamento subìto negli ultimi anni dal nostro patrimonio culturale, e archeologico in particolare, "NEARCH" si è posto come obiettivo la (ri)definizione di proposte metodologiche, normative, di politica culturale vera e propria, per la sostenibilità dell'archeologia nel medio e lungo periodo. Siamo convinti che, di fronte alla crisi della stessa idea europea, tocca anche a chi opera in prima persona nel settore archeologico impegnarsi a trovare soluzioni che rivendichino il ruolo fondamentale del patrimonio culturale nella formazione di una comunità coesa e democratica.


"NEARCH" si ricollega per molti aspetti al precedente progetto "ACE - Archaeology in Contemporary Europe", che aveva indagato la realtà della pratica archeologica e in particolare della professione e, pur avviato nel 2007, era riuscito, con grande tempismo, a elaborare un'analisi dell'impatto della crisi economica nel settore archeologico, nei suoi aspetti sociali e istituzionali.

Le conseguenze di quella crisi - peraltro lontana dall'essere archiviata - hanno innescato un ripensamento profondo del quadro metodologico, sociale, istituzionale in cui la disciplina ha operato negli ultimi anni a livello europeo. Quadro che aveva trovato, per la grande maggioranza dei paesi UE, una sanzione politico-normativa nella Convenzione di Malta del 1992, quando, in concomitanza con l'avvio dei grandi progetti continentali di infrastrutturazione - i corridoi transnazionali tuttora in costruzione - il Consiglio d'Europa emanò un innovativo documento mirato alla tutela del patrimonio archeologico. La ratifica e introduzione della Convenzione in quasi tutti i paesi europei ha contribuito, almeno fino allo scoppio dell'attuale crisi economica, all'evoluzione di questo settore professionale per migliaia di archeologi e ricercatori di discipline correlate.

Per la disciplina archeologica si è avviata una nuova fase, quella denominata appunto della "Malta archaeology", nella quale ha assunto un ruolo predominante l'archeologia d'emergenza o preventiva, ovvero un'archeologia intesa come "effetto collaterale" di attività sul territorio che hanno altre finalità rispetto alla ricerca storico-scientifica.

Nel 2002, in Francia, è stato costituito l'INRAP, l'Institut national de recherches archéologiques préventives, un'istituzione pubblica che ha contribuito a un'evoluzione decisiva delle pratiche di archeologia preventiva ed è divenuta non a caso  project leader sia di "ACE" che di "NEARCH" ( www.inrap.fr). Non così in Italia, dove il grottesco ritardo con cui è avvenuta la recentissima ratifica della Convenzione di Malta - "Gazzetta Ufficiale" numero 108 del 12 maggio 2015! - riflette il generale ritardo normativo sulle tematiche archeologiche, prive di una legislazione specifica e le cui pratiche sono in balia di direttive ambigue quando non addirittura omertose, arcaiche, palesemente insufficienti, ridicolmente e inutilmente restrittive (si veda, unico caso in Europa, la limitazione delle procedure di verifica preventiva alle sole opere pubbliche, mentre la proprietà privata ne rimane esente).

Le linee guida sull'archeologia preventiva, attese dal 2006, per quello che risulta dalle bozze circolanti non paiono affatto rispondere alle attese di un settore che si dibatte da anni in una crisi economica profonda e che interessa trasversalmente tutti gli attori coinvolti: dai costruttori agli archeologi professionisti, dalle università al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.

Se non si risolverà in un mero atto formale, la ratifica della Convenzione di Malta da parte dell'Italia - a cui lo stesso progetto "ACE" fornì un determinante contributo culturale con il convegno internazionale di Roma del 2012, "Twenty years after Malta: preventive archaeology in Europe and Italy", organizzato dall'IBC - potrebbe comunque essere un'occasione preziosa per un radicale miglioramento della legislazione archeologica nazionale. Per esempio introducendo nella nostra normativa una chiara connessione fra archeologia preventiva e pianificazione territoriale, così come la Convenzione prevede all'articolo 5. Si tratterebbe di un primo passo per fare chiarezza in un ambito tuttora ostaggio di molti interessi contrapposti: un passo iniziale - ma indispensabile - verso la sostenibilità.

In questa direzione occorrerà però tenere conto dell'evoluzione avvenuta in questi 23 anni che ci separano dalla Convenzione di Malta, e in particolare negli ultimi 8-10, che hanno conosciuto un rapido mutamento del quadro di riferimento, sotto molteplici punti di vista. Cambiato è l'orizzonte filosofico-politico all'interno del quale si era mossa la Convenzione del 1992: con l'inizio del nuovo millennio, i documenti programmatici nell'ambito del patrimonio culturale, a livello europeo e internazionale, hanno radicalmente spostato l'approccio da quello precedentemente focalizzato sugli oggetti, sui siti, sui monumenti, a una concezione del patrimonio fondata sulle esigenze delle popolazioni, sulle loro attese, sui loro interessi e bisogni (determinante, in questa direzione, la Convenzione di Faro del 2005 sul valore dell'eredità culturale per la società).

Quasi contemporaneamente, una progressiva ma massiccia ridefinizione degli spazi di intervento pubblico in tutti i settori, avviata in Europa, ha costretto a ridisegnare il quadro istituzionale delle pratiche archeologiche in molti paesi dell'Unione. La crisi economica ha infine accelerato questi processi e circoscritto - talora in modo drastico - le risorse disponibili, a partire da quelle economiche, ma non solo. Tali processi, tuttora in corso, stanno dunque provocando un riassestamento della disciplina archeologica, che va evolvendo verso una radicale ridefinizione dei propri obiettivi e verso pratiche sociali di condivisione e di inclusione.


Come è risultato chiaro fin dal progetto "ACE" a tutti i partner, pur se provenienti da realtà nazionali differenti, si tratta di fenomeni a carattere transnazionale che, quindi, occorre affrontare a livello europeo, almeno sul piano dell'analisi culturale e politica, se vogliamo avere la speranza di cogliere non solo le ragioni profonde del mutamento avvenuto e in corso, ma anche di individuare qualche proposta per orientare un'evoluzione del processo in senso favorevole (o meno sfavorevole) alle ragioni del patrimonio archeologico.

Consapevoli della diversità radicale di questi "new scenarios", come partner di "NEARCH" l'IBC ha deciso di ripartire dai fondamenti, a cominciare quindi dalla domanda "che cos'è l'archeologia", posta, come detto, non a chi sta nel perimetro ristretto degli archeologi, ma a chi ne è al di fuori. Sui risultati di questa operazione di ascolto, che stiamo svolgendo con modalità diverse e fra loro complementari, si fonderà la nostra  pars construens, la proposta che andremo a elaborare come obiettivo finale del progetto.

Le azioni principali attorno a cui si articola questo ascolto sono due. Un concorso internazionale con il quale invitiamo i cittadini dell'UE, in senso ampio, a raccontarci la loro idea di archeologia attraverso un disegno, una foto o un breve video (c'è tempo fino al 31 luglio 2015 per partecipare:  www.ibc.regione.emilia-romagna.it) e un'indagine statistica che ha riguardato due differenti campioni: i cittadini generici e i politici (in questo secondo caso con un confronto tra Francia e Italia). L'elaborazione di entrambe le azioni, dallo schema di concorso alle modalità di promozione nel primo caso, alla definizione dei questionari nel secondo, ci ha posti di fronte a sfide non banali.


Nel caso del concorso, coordinato dall'IBC e intitolato "Archeologia secondo me", ci siamo a lungo interrogati sulle modalità più efficaci per raggiungere un doppio obiettivo: una partecipazione che fosse la più allargata possibile e che comprendesse quindi anche quelle fasce di popolazione con scarsa propensione verso queste tematiche (che, insomma, i partecipanti non fossero solo i frequentatori abituali di mostre e musei archeologici), ma anche una risposta il più possibile rappresentativa di tutti gli aspetti della disciplina, ivi compresi quelli meno positivi. Non ci interessa, in sintesi, raccogliere solo una sequenza di meravigliose foto di ruderi immersi in fascinosi tramonti, bensì catturare anche l'espressione del disagio provocato, per esempio, dai cantieri urbani di archeologia preventiva o dal fastidio per i disservizi che talora guastano l'esperienza di visita di siti o musei.

I problemi provocati da un turismo di massa ancora troppo poco regolamentato e sempre più invasivo riguardano ormai non più solo realtà monumentali o museali eccezionali e rappresentano una conseguenza forse inevitabile per un'Europa destinata a diventare una sorta di parco a tema storico-culturale del turismo globalizzato. D'altra parte - ed è questo un aspetto che riguarda purtroppo soprattutto il nostro paese - l'offerta presentata da musei e siti archeologici si rivela spesso carente in termini di qualità didattica e dei servizi in genere. In troppe situazioni, ancora, l'importanza del patrimonio culturale non basta a compensare tali lacune e rischia di trasformare un'esperienza di conoscenza potenzialmente straordinaria in un'occasione persa.

Attraverso i loro scatti, disegni e video, vorremmo che i cittadini e i turisti, cioè i fruitori del patrimonio archeologico europeo, ci raccontassero le proprie esperienze, in tutti i loro aspetti. Per raggiungere questo scopo abbiamo quindi cercato di rivolgerci a un pubblico il più ampio possibile, pubblicizzando la nostra iniziativa, oltre che presso musei e istituzioni culturali, anche presso le scuole di ogni ordine e grado, e presso negozi e catene di distruzione commerciale.

Abbiamo accompagnato la promozione del concorso anche con alcuni video che richiamano, nel loro insieme, opportunità e criticità del rapporto con l'archeologia (i video sono visibili sul sito dell'IBC, alla pagina del concorso e nel canale YouTube). Così, assieme al video costruito con le sequenze tratte da alcuni  cult movies, da  Indiana Jones a  Vacanze romane, il  teaser girato a Roma, lungo via dei Fori Imperiali e nei pressi dell'anfiteatro Flavio, ci rimanda a un universo un po' trash, ma di normale quotidianità, fatto di assillanti centurioni del XXI secolo, souvenir cinesi e artisti di strada con opere a soggetto unico: il Colosseo.

La promozione di "Archeologia secondo me" è stata anche l'occasione per un'indagine sul campo propiziata dalla fortunata coincidenza temporale del concorso con gli scavi urbani dei cantieri "Bobo" a Bologna. I lavori, che hanno interessato l'asse via Rizzoli - Ugo Bassi, più o meno coincidente con l'antico decumano della città romana, hanno riportato alla luce - non inaspettatamente - moltissime tracce risalenti alle fasi dal tardomedioevo all'epoca romana, compresi tratti di basolato della via Emilia, la strada consolare che ancora oggi rappresenta la spina dorsale dell'intera regione.

Dalle interviste effettuate con cittadini e commercianti durante gli scavi che hanno provocato mutamenti piuttosto pesanti al sistema dei trasporti pubblici, emergono reazioni composite, non solo negative. Molti degli intervistati si sono dichiarati disposti a sopportare i disagi conseguenti alle indagini archeologiche, richiedendo però, allo stesso tempo, una maggiore informazione su quanto si andava scoprendo. Allo stesso modo è bastato che i media riportassero le immagini del frammento di via Emilia messo in luce in un piccolo tratto di via Ugo Bassi, perché i cittadini si affollassero alle recinzioni del cantiere per osservare e fotografare quel pezzetto della loro storia che affiorava. Piccole, ma inequivocabili testimonianze della necessità - troppo spesso disattesa dagli operatori del settore - di una comunicazione efficace e rapida: ineludibile strumento per far comprendere le ragioni di una disciplina ancora troppo distante, in molte occasioni, dalle comunità a cui dovrebbe rivolgersi.


Sul fronte dell'indagine statistica, i primi risultati del campione relativo al confronto fra politici francesi e italiani (per un 35% parlamentari nazionali e per il 65% rappresentanti politici locali) sono ora in fase di ultima revisione. In questa sede possiamo solo anticipare qualche piccolo ma significativo scoop. Per limitarci all'orizzonte nazionale, non inatteso è lo scarso grado di conoscenza del concetto di archeologia preventiva e dei principi su cui si fonda: per un 75% dei politici nostrani la convenzione è terra più o meno incognita. In linea con questa "disattenzione" è il debolissimo livello di coinvolgimento in attività a carattere archeologico o culturale: oltre il 60% dei nostri rappresentanti politici non ha mai organizzato o partecipato all'organizzazione di eventi culturali. Allo stesso modo, solo il 25% conosce la realtà del cantiere archeologico o ha avuto rapporti con gli archeologi del Ministero.

Seppure diretta conseguenza di questo quadro, appare ugualmente incredibile la percentuale dei politici italiani che dichiarano come nel territorio da loro rappresentato non esista alcun patrimonio archeologico: sono quasi il 50%. Percentuale ancora più disarmante se confrontata con il dato francese: oltralpe è solo il 29% dei politici a ritenere il territorio di riferimento privo di patrimonio archeologico.

Naturalmente solo i risultati finali e completi delle due attività, che saranno pubblicizzati di qui a un anno, potranno fornire, oltre che un quadro più articolato, una prima risposta all'efficacia delle azioni del progetto nel loro insieme.

Accanto a questo filone, "NEARCH" presenta altri ambiti di indagine, che riguardano, per esempio, la sperimentazione di strumenti di diffusione della conoscenza archeologica e di educazione alle tematiche disciplinari attraverso le tecnologie digitali e i social media, vettore ormai indispensabile sul piano della sostenibilità comunicativa, non più solo per i pubblici giovanili.

Vi è poi un'azione dedicata all'incontro fra archeologia e arte contemporanea che prevede l'interazione fra le varie istituzioni partner di "NEARCH" e un gruppo di giovani artisti contemporanei chiamati a produrre, sulla base di questa esperienza di confronto, opere specifiche su tematiche archeologiche.

Infine, come detto, una particolare attenzione è posta all'uso sociale della disciplina, attraverso l'analisi e il confronto di pratiche di successo, come quella in corso dal 2009 all'îlot Cygne, un cantiere di archeologia preventiva aperto a Saint-Denis, un sobborgo parigino a forte percentuale di popolazione immigrata, che si è trasformato, con grande successo, in un esperimento di inclusione sociale e di dialogo multiculturale (cioè non solo unidirezionale...) tuttora in atto. Ma c'è spazio anche per la sperimentazione di pratiche inedite, come quella che intendiamo proporre con l'Università di Tor Vergata e il "Museo di archeologia per Roma", aperto di recente all'interno del campus universitario, in una zona periferica ma di straordinario interesse archeologico ( museoapr.it).

Che il coinvolgimento attivo dei nuovi cittadini nella ridefinizione delle pratiche archeologiche (e, in definitiva, del nostro passato) rivesta un ruolo cruciale nella sostenibilità della disciplina lo stanno a dimostrare, se mai ce ne fosse bisogno, i recentissimi fatti di Palmira e prima ancora di Nimrud, Ninive, Hatra. Le distruzioni ormai non più circoscrivibili come singoli episodi, hanno con tutta evidenza un carattere sistematico, di tale carica simbolica che travalica persino la funzione immediatamente propagandistica. Tali eventi ci interrogano con nuova urgenza, non solo per la necessità di tutela immediata di patrimoni fisicamente irrecuperabili e insostituibili per importanza culturale, ma sotto il profilo politico, chiamandoci a riflettere sul fallimento sostanziale della nostra capacità di diffondere un modello di rapporto con il passato, ancora troppo superficialmente condiviso. Fuori dall'Europa e forse anche al suo interno.

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