Rivista "IBC" XXIII, 2015, 3

biblioteche e archivi / mostre e rassegne, storie e personaggi

La Biblioteca Classense di Ravenna mette in mostra i libri, le incisioni, i disegni da cui nacque il progetto architettonico del sepolcro di Dante, firmato da Camillo Morigia.
A egregie cose accendendo

Claudia Giuliani
[direttrice dell'Istituzione Biblioteca Classense di Ravenna]

Dal 15 settembre 2015 al 6 gennaio 2016 la Classense di Ravenna espone "La Biblioteca dell'architetto Camillo Morigia: i libri, le incisioni, i disegni all'origine del progetto architettonico del sepolcro dantesco". 1 In omaggio a un anniversario, quello dei 750 anni dalla nascita del poeta Dante, e a una preziosa biblioteca di architettura, i curatori della mostra (insieme a chi scrive, Donatino Domini e Alberto Giorgio Cassani) hanno preso le mosse da quanti, quasi 40 anni fa, con una mostra e una raccolta di saggi, portarono alla luce la figura e l'opera dell'architetto ravennate Camillo Morigia: Marco Dezzi Bardeschi, Nullo Pirazzoli, Paolo Fabbri, Carla Cenci. In quell'occasione, delineando per la prima volta i contorni, l'attività di progettazione architettonica e i riferimenti culturali di Morigia, l'attenzione venne data anche alla biblioteca, considerata, a ragione, un'espressione compiuta della formazione, del sapere e delle relazioni culturali del suo possessore.

La sfida, in questo caso, è nata dall'intenzione di rileggere la biblioteca - che è una raccolta libraria di studio e di lavoro di ampio benché specialistico raggio disciplinare, in cui l'architettura si affianca alle discipline matematiche e scientifiche, alla storia dell'arte e all'archeologia - in funzione del lavoro progettuale e della realizzazione della tomba dell'Alighieri. Un percorso dalla biblioteca del più consapevole e operoso architetto ravennate del Settecento al sepolcro da lui realizzato fra il 1780 e il 1782, dai suoi studi e dal costante confronto con gli antichi e moderni architetti alla pratica e al progetto architettonico.


Camillo, nato a Ravenna nel 1743 nella nobile famiglia Morigia, dagli studi di "lettere umane" passò alle "scienze filosofiche" e alle "belle arti", divenendo una promessa degli studi ravennati. Colto, dai modi e dai gusti aristocratici, sempre pragmaticamente operoso, in stretto contatto con le autorità pontificie, con i potenti ordini regolari ravennati, con i rappresentanti dell'aristocrazia cittadina, divenne il protagonista del rinnovamento architettonico in senso neoclassico voluto dal legato pontificio Luigi Valenti Gonzaga nella città di Ravenna, negli anni fra il 1778 e il 1786.

Il  cabinet di Camillo Morigia - straordinario  unicum di "libri, stampe, disegni, schizzi, sbozzi, medaglie, statue, instrumenti matematici, geometrici, e idrostatici" attinenti "alle scienze matematiche, geometria, architettura civile, e militare, belle arti, descrizioni di paesi, città, fabbriche" - alla sua morte viene da lui lasciato alla Biblioteca dei monaci Camaldolesi di Classe, che egli molto stimava. Oggi la biblioteca dello studio dell'architetto, giunta pressoché intatta dentro la Classense, è patrimonio della città di Ravenna, prezioso quanto inconsueto per l'ampiezza e la completezza della dotazione libraria specialistica.


La mostra si articola in due sezioni: la prima, nel Corridoio Grande, è dedicata ai libri della formazione e del confronto, finalizzati alla pratica progettuale, costruttiva e decorativa, con particolare attenzione al sepolcro dantesco (una sezione, per forza di cose, contenuta entro i termini di un campione esemplificativo); la seconda, nell'Aula Magna della Classense, a stretto contatto con le sale da lui stesso realizzate, si concentra soprattutto sul lavoro che portò alla realizzazione del Sepolcro, fermandosi in particolare sui disegni, sulla grafica e sui bei libri di archeologia sepolcrale posseduti da Morigia.

I volumi della biblioteca - oltre 1400, collocati nella Sala delle Scienze e delle Arti della Classense, che proprio Camillo fece realizzare alla fine degli anni Settanta su commissione dei Camaldolesi - sono individuabili grazie a un prezioso inventario redatto all'atto del testamento: la raccolta appare come una  biblioteca selecta, ovvero selezionata ai fini del lascito e priva di divagazioni rispetto al tema (e infatti rarissime sono le deroghe disciplinari). La competenza del raccoglitore è sicura, come attestano la precisa definizione del duplicato - identico per editore, luogo e data di stampa, di cui agli eredi camaldolesi si consente la vendita - e la richiesta contestuale di attivare gli acquisti delle opere in continuazione. L'attenzione del testatore è inoltre volta all'uso dei libri e degli strumenti, di cui raccomanda la libera fruizione per gli allievi e i famigliari. Tutto concorre a delineare un'attenzione ai libri quali utili strumenti di lavoro, più che al pregio bibliofilico della collezione.


I libri, di studio, di erudizione a tema, di apparati, di architettura antica e contemporanea, di vedute, di antichi monumenti e guide, tradizionalmente presenti nelle biblioteche degli architetti, sono quelli della formazione e del confronto, che consentirono a Morigia e ai suoi allievi di guardare all'architettura italiana ed europea, dal modello classico, prevalentemente romano, al Rinascimento, ai grandi maestri canonici della trattatistica architettonica di base, come ai contemporanei. Essi ebbero un grande valore per il lavoro dell'architetto, sorressero e guidarono le scelte costruttive, artistiche, decorative.

Fra i volumi posseduti, che si datano fra il XV e il XVIII secolo, gli autori e le edizioni dei contemporanei prevalgono, come prevalse in Morigia il gusto per una conoscenza finalizzata al fare. Ma storicamente fondati sono gli studi di trattatistica architettonica, basati su Vitruvio, Leon Battista Alberti, Sebastiano Serlio, Andrea Palladio - i più importanti, posseduti in edizioni varie, dal Cinquecento in avanti - e poi su maestri come Vincenzo Scamozzi o il Vignola. Il nostro aristocratico architetto ci appare particolarmente attratto dall'Alberti, che studiò e postillò, e naturalmente dall'imperante palladianesimo. Di Palladio possedeva  I quattro libri di architettura, in italiano e in francese, nelle principali edizioni uscite fra Cinque e Settecento.

Sui libri di trattatistica - a partire da Vitruvio, ma su Palladio in particolare - si esercitò negli anni della formazione, aspirando anche a un trattato proprio, che restò incompiuto: le  Nozioni pratiche per fabbricare di cui ci resta il manoscritto originale. Morigia possedette i libri degli esponenti più significativi del palladianesimo in Italia e in Europa, fra i quali l'inglese Inigo Jones. Numerosissimi gli autori francesi, di cui si era procurato 200 edizioni, di matematica, ingegneria, idraulica, architettura. Di questi vengono esposte le opere di Antoine Le Pautre, dell'innovativo Abbè Laugier, del grande ingegnere Jean Rodolphe Perronet.

L'occhio dell'architetto ravennate indugia sul tema centrale dei suoi anni, sulla  querelle che divide classicisti e modernisti, alla ricerca del "vero buon gusto", tema ben documentato dalla biblioteca, con le opere di Algarotti, ma anche di Ludovico Antonio Muratori, o Sèran de la Tour.

Il sostanziale palladianesimo morigiano si vivifica nel confronto con le esperienze architettoniche d'oltralpe - percorse sui grandi libri, spesso francesi, che coniugano lo specialismo architettonico con splendide illustrazioni - e si confronta infine, in particolar modo, con lo studio delle antichità romane: consapevole della grande svolta winkelmanniana, pratica i libri illustrati dalle antichità romane di Paestum, di Roma e di Nimes, a opera di Paolo Antonio Paoli, dei Piranesi o di Charles-Louis Clerisseau. Sono i migliori prodotti dell'editoria italiana e francese, che contrassegnano l'importante passaggio dalla trattatistica al vedutismo.

L'archeologia sepolcrale, declinata da Morigia nella pratica con l'esecuzione del sepolcro dantesco, gli è nota attraverso i modelli antichi romani, studiati sui testi e sulle tavole dell'architetto Giovanni Battista Montano, dell'incisore e commissario delle antichità per lo Stato Pontificio Pietro Santi Bartoli, del teorico, ma anche bibliotecario e antiquario, Giovanni Bellori, e nelle famose edizioni degli stampatori De Rossi. Tutti prodotti di un'editoria capitolina che, rinnovata dall'interesse per l'antico, era straordinariamente impegnata al servizio del vivacissimo mercato di opere d'arte e antiquaria, in una Roma pullulante di antiquari e collezionisti, che Morigia visitò, frequentandone i protagonisti.


Coltivando una sua peculiare collocazione, fra collezionismo e architettura pratica, Morigia entra nel novero di quei lettori conoscitori e studiosi di antichità, amante anch'egli dei bei libri, elegantemente rilegati, ma con la cifra sua propria dell'architetto, la cui biblioteca è prevalentemente contemporanea, indugiando solo un poco sul libro antico e sulle prime edizioni.

La rispondenza a una moda e a un gusto nuovi si alimenta di relazioni, coltivate dall'architetto romagnolo, con importanti collezionisti nello Stato Pontificio e fuori: fra gli altri, i Camaldolesi di Classe, i Cassinesi di San Vitale, Luigi e Gaetano Valenti Gonzaga, i Durazzo di Genova, il cardinal Albani a Roma.

Di tale clima si alimenta la politica di riforma e riabbellimento in senso neoclassico della città di Ravenna voluto da Luigi Valenti Gonzaga, politica nella quale si inscrive il rifacimento del sepolcro dantesco, in una fase, peraltro, di rinata fortuna letteraria del poeta. È infatti in tempi di nuovo "entusiasmo dantesco" che nasce e si consolida il progetto della tomba. Morigia la impronterà alla nobile semplicità e alla quieta grandezza di un tempietto all'antica, conforme al gusto dell'architetto "dotto elegante e sensato".

Sono gli anni in cui l'Alfieri, a Ravenna, sul sepolcro dantesco, "fantasticando pregando e piangendo", rendeva omaggio al poeta. Il nuovo sepolcro si inseriva allora come l'operazione culturale di maggior rilievo del Settecento ravennate, proponendosi come icona di ambito civile ai visitatori che, sulle "orme di Dante", si sarebbero recati a rendere i dovuti onori alle ceneri del poeta che già Alfieri stava innalzando al rango di santo della nuova religione laica, dai contenuti patriottici.


A render conto dell'operosità progettuale di Morigia vengono esposti in questa mostra i disegni originali, raffiguranti l'esterno e l'interno della tomba di Dante: pochi esemplari conservatisi di un nucleo ben più consistente di disegni relativi allo stesso progetto, commissionato a Morigia nel 1780. Si tratta di prove grafiche da mettere a confronto con le incisioni, pubblicate a Firenze dagli editori Cecchi ed Eredi nel 1783 su invenzione di Morigia, che rispetto all'elaborazione del progetto si devono considerare conclusive. Tutte testimonianze importanti, dal momento che il sepolcro oggi non è più completamente leggibile nella sua originaria forma, a seguito di una fortuna discontinua, anzi calante, a partire dal tardo Ottocento, e a causa dei rifacimenti del 1921.

Il sepolcro di Morigia fu figlio dei suoi tempi e, a ben riflettere, fu erede di una consapevolezza che indusse il suo autore a una moderata e "governata" soluzione, armoniosa e simbolicamente "classica", sulla scorta di studi e letture che lo legano direttamente alla riflessione architettonica rinascimentale. Forse, come ben ci ricorda Alberto Giorgio Cassani, facendo sue le considerazioni sulla semplicità dei sepolcri, che "Alberti ritiene degna di un re, applicandola, senz'alcuna  diminutio, anche al "re" dei Poeti".


Nota

[ 1La Biblioteca dell'architetto Camillo Morigia: i libri, le incisioni, i disegni all'origine del progetto architettonico del sepolcro dantesco, a cura di C. Giuliani, D. Domini, A. G. Cassani, Bologna, Bononia University Press, 2015.

 

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