Rivista "IBC" XXIII, 2015, 4

biblioteche e archivi / mostre e rassegne, pubblicazioni

Un volume edito dall'IBC per accompagnare la presenza della Regione Emilia-Romagna a "Expo 2015" racconta, con un viaggio tra i testi antichi, il rapporto che, tra Rimini e Piacenza, lega l'agricoltura all'alimentazione.
Sapori di carta

Lisa Bellocchi
[giornalista]

Del maiale non si butta via niente. In Emilia-Romagna lo sanno tutti. Lo raccontò molto bene il marchese Vincenzo Tanara, pubblicando, nel 1644, la monumentale opera  L'economia del cittadino in villa: "Lascio a Priapo il mio grugno, col quale possa cavare i tartufi dal suo orto. Lascio a' librai e cartari i miei maggior denti, da poter con comodità piegare e pulire le carti. [...] Lascio a' pittori tutti i miei peli per far pennelli. Lascio a' fanciulli la mia vescica da giocare. [...] Lascio la metà delle mie cotiche a' scultori, per far cola da stucco e l'altra metà a quelli che fabbricano sapone". La lista, che prosegue ancora lunga, è riportata per intero nell'affascinante volume  Agricoltura e alimentazione in Emilia-Romagna. Antologia di antichi testi, curato da Zita Zanardi e pubblicato dall'Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna, per i tipi di Edizioni Artestampa. 1

Il ponderoso studio, che ha accompagnato la presenza della Regione a "Expo 2015", raccoglie antichi testi conservati in biblioteche e archivi pubblici e privati del territorio, ed evidenzia - annota il presidente Stefano Bonaccini nella premessa - "come la cultura, prendendo spunto dalla grande tradizione agricola e alimentare di queste terre, si affermi come snodo tra saperi e valori, tra competenze e discipline".


Le opere prese in considerazione nelle 390 pagine sono di autori emiliano-romagnoli o che in regione hanno vissuto e operato. L'arco cronologico si estende dal XIII secolo ai primi anni del Novecento. La ricca bibliografia accompagna fino ai giorni nostri. I documenti sono ripartiti in sette sezioni tematiche (ciascuna delle quali al proprio interno segue l'ordine cronologico): "Manuali e trattati", "Libri di sanità", "Dissertazioni", "Ricettari e libri di casa", "Leggi, regolamenti e inchieste", "Lunari e almanacchi", "Arte e letteratura". Le schede sono nel complesso 147, accompagnate da testi di approfondimento. Il rigore della selezione consente al lettore di abbandonarsi pienamente al piacere della scoperta.

Il primo autore citato è il bolognese Pietro de' Crescenzi, con i suoi 12 libri  De agricultura vulgare, che già elenca (siamo nel XIII secolo!) l'albana come vino "molto potente et di nobile sapore". Poco dopo, nel 1360, Paganino Bonafede, criptoantenato degli odierni  copywriters della pubblicità, racconterà didascalicamente l'agricoltura in versi, per "amaistrare quelli che men sano".

Le schede del volume, redatte da Alberto Calciolari, Anna Chiara Marchignoli, Giuseppina Benassati, Massimo Baucia, Patrizia Busi, Paola Errani, Rosaria Campioni e dalla stessa Zita Zanardi, spaziano tra il rigore filologico e biblioteconomico e le felici sintesi dei contenuti, offrendo costantemente spunti curiosi. Ogni citazione suscita il desiderio di una lettura approfondita del testo, come in effetti nei secoli è stato.


L'elogio del maiale, protagonista indiscusso dell'allevamento emiliano-romagnolo, rimbalza tra il  Testamento del già citato Tanara; il  Pronostico di Giulio Cesare Croce (1550-1609); i "capitoli berneschi" dell'abate modenese Giuseppe Ferrari (1720-1773); il poemetto giocoso  La salameide del ferrarese Antonio Frizzi (1736-1800); giù giù fino alla canzonetta dialettale su salsiccia, cotechino e zampone del cantastorie bolognese Carlo Musi (1851-1920).

La polivalenza del maiale trova riscontro, in campo vegetale, nell'ampio utilizzo del salice. Luigi Ferdinando Marsili (1658-1730), grazie al quale ebbe inizio l'Accademia delle Scienze, ricorda che le radici dei salici servono ai tintori per colorare, la scorza dei rami nutre il bestiame d'inverno, le foglie d'estate, e con i vinchi (i rametti più sottili) si legano i tralci di vite o si fanno cappelli, ceste e nasse per la pesca.

Michele Savonarola (1384-1468), nonno del più famoso Girolamo, fu medico di Niccolò I d'Este e grande studioso dei benefìci delle acque termali. Ma non sdegnò i piaceri di altre bevande, come l'acquavite, di cui redasse il primo manuale di distillazione.

I cultori della biodinamica potranno trovare interessanti gli apparentamenti tra lavorazioni dei campi e fasi lunari proposti dal carmelitano piacentino Giuseppe Falcone (XVI secolo), così come il "vitto pittagorico di soli vegetabili" del medico riminese Giovanni Bianchi (1693-1775).


La necessità di un'agricoltura razionale è alla base della  Pratica agraria del professore riminese Giovanni Antonio Battarra (1714-1789), vivamente preoccupato dell'analfabetismo dei contadini, "onde restan privi di quell'unico presidio che può produr loro il gusto di sapere come l'agricoltura nei vari Paesi d'Europa s'eserciti". Da Reggio Emilia, in inconsapevole concerto, gli risponde Filippo Re (1763-1817), cavaliere e professore. Il suo  Ortolano dirozzato si preoccupa anche di rendere comprensibili i termini agrari, "la differenza dei quali è tanto grande da paese a paese e, spessissimo, tra villaggio e villaggio che non è possibile l'intenderli senza un interprete". Vale per tutti l'esempio della cuscuta, una pianta infestante conosciuta con 26 nomi diversi nelle varie parti d'Italia.

Curarsi con le erbe fu, nei secoli passati, un'opportunità necessaria e non priva di conseguenze. Per esempio, nel 1575, l'illustre botanico bolognese Ulisse Aldrovandi fu sospeso dall'insegnamento per una controversia con gli speziali cittadini sulla composizione di un'antica medicina: la teriaca. Allievo di Ulisse Aldrovandi e prefetto dell'Hortus botanicus di Bologna, Bartolomeo Ambrosini (1588-1657) studiò come fornire un rimedio a tutti i mali (una "panacea", appunto) attraverso le erbe intitolate ai santi: l'erba di Santa Maria, menta greca, diuretica e corroborante; l'erba della Santissima Trinità, viola del pensiero, antinfiammatoria; l'erba di Santa Croce, tabacco, disinfettante contro le ferite; l'erba di Santa Cunegonda, cannabina, efficace contro la febbre terzana. E così via...

C'era una volta (era il XVI secolo) il capitano di ventura Giovanni Baglioni, per gli amici "Zvan". Si accampò nei pressi di Reggio Emilia e aveva necessità di nutrire i suoi uomini. Con quel che aveva a disposizione (uova zucchero e vino) creò una mistura che da lui prese il nome. La tradizione - ripresa anche nella Gazzetta Ufficiale italiana - ricostruisce così la nascita dello zabaglione.


Ai nostri giorni, costellati da chef e masterchef televisivi, la parte del volume dedicata ai "libri di casa" e ai ricettari risulta fonte di numerose, godevoli notizie e notiziole, ma soprattutto costituisce un interessante spaccato della stupefacente "arte teatrale" costituita dai banchetti, a partire dall'epoca rinascimentale. Cuochi, scalchi, credenzieri e trincianti sono "essenziali ingranaggi di quella raffinatissima macchina dello splendore, capaci di valorizzare le migliori tradizioni locali e, all'occorrenza, di contaminarle con esperienze culinarie straniere". Con personaggi di primo piano, coinvolti nella rete diplomatica, come Bartolomeo Scappi, al servizio del cardinale Lorenzo Campeggi e chiamato a preparare, nel 1536 a Roma, un banchetto in onore dell'imperatore Carlo V.

La Corte estense regala al mondo i  Banchetti apparecchiati da Cristoforo di Messisbugo e, poco dopo, "le qualità di uno scalco perfetto", Giovanni Battista Rossetti, agli ordini di Lucrezia d'Este.

Il cuoco Bartolomeo Stefani, che da Bologna approdò alle cucine della Corte di Mantova, nel 1662 pubblicò  L'arte di ben cucinare. La sua "zuppa alla Stefani" è arrivata - per il tramite di Olindo Guerrini - fino a Pellegrino Artusi, che ne elenca gli ingredienti: cervello di vitella, fegatini, uova, prezzemolo, basilico e succo di limone.

Antenato dell'odierno addetto al  catering, Giuseppe Lamma preparava pranzi "a domicilio" nelle ricche famiglie felsinee che lo incaricavano per le occasioni speciali. E lo scrupoloso cuoco annotava ricette e menù nei suoi taccuini.


Il discorso potrebbe continuare a lungo su numerosi temi: l'acqua Celeste di Caterina Sforza e l'Ambrosia arabica (il caffè) di Angelo Rambaldi; i rimedi contro i denti cariati e la plurisecolare vocazione alla frutticoltura nel territorio di Massa Lombarda; le rotte del fiume Reno e le golosità confezionate nei conventi femminili.

Che dire del lungo snodarsi, in regione, dei sottili impasti, variamente cotti, che diventano tigelle, gnocchi, crescentine, piade e sconfinano nei borlenghi? Come mettere a confronto la spongata natalizia reggiana e la torta di San Michele di Bagnacavallo? Da tutto risulta - annota nella presentazione del volume Angelo Varni, presidente dell'Istituto per i beni culturali - "uno straordinario percorso di conoscenze e di approfondimenti, che ci accompagna nei diversi territori della regione con le loro varietà produttive, le differenti elaborazioni gastronomiche, le tradizioni di un antico mondo contadino capaci di perpetuarsi anche nell'odierna trasformata realtà".


Nota

( 1Agricoltura e alimentazione in Emilia-Romagna. Antologia di antichi testi, a cura di Z. Zanardi, Bologna-Modena, Istituto per i beni artistici culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna - Edizioni Artestampa, 2015.

 

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