Rivista "IBC" XXIII, 2015, 4

biblioteche e archivi / mostre e rassegne

Alla settantaduesima "Mostra internazionale d'arte cinematografica" il paesaggio e la cultura dell'Emilia-Romagna sono state protagoniste.
Un ciak per la regione

Anna Sbarrai
[giornalista]

Il 2015, per quanto riguarda il cinema, in Emilia-Romagna sarà sicuramente ricordato come una splendida annata. Dopo la svolta epocale che, grazie alla Legge regionale 20 del 2014, ha portato all'attivazione di un fondo per l'audiovisivo e a una rivoluzione del comparto, grandi soddisfazioni sono arrivate anche dal più antico  red carpet del mondo, la settantaduesima "Mostra internazionale d'arte cinematografica" di Venezia, dove ha brillato la stella di Pier Paolo Pasolini, mentre il mondo si accingeva a ricordare il quarantesimo della sua scomparsa.

In questo contesto, il premio "Leone Classici" assegnato a  Salò o le 120 giornate di Sodoma è giunto inaspettato e commovente, primo e unico riconoscimento a un progetto da sempre considerato controverso, scandaloso e troppo legato alla drammatica morte di Pasolini per poter essere visto, oltre che come un'opera forte e importante, "semplicemente" come un'opera. Ci sono voluti quasi mezzo secolo, l'ottimo restauro del laboratorio "L'Immagine Ritrovata" della Cineteca di Bologna e una giuria di giovani studenti, perché ne fossero riconosciuti istituzionalmente il valore, la denuncia sociale, la potenza della sua attualità, senza l'immedesimazione assoluta nella tragedia storica di quegli anni, senza il timore di essere testimoni di una maledizione perpetuata.

Nella vetrina degli ormai numerosi riconoscimenti ottenuti dalla Cineteca, questo terzo "Leone" veneziano ha lo sguardo volto verso l'Archivio "Pasolini", che Bologna ha l'onore di custodire e preservare, donando almeno alla parte culturale e artistica del lavoro pasoliniano quella giustizia che ancora, purtroppo, manca dal violento epilogo della sua esistenza.

Oltre a  Salò, la Cineteca ha portato in Laguna altre due blasonate pellicole, arricchendo così l'omaggio al grande cinema italiano: i 20 episodi dei  Mostri di Dino Risi e  Amarcord di Federico Fellini.

Il restauro del film di Risi ha salutato il proseguimento della collaborazione tra Bologna e il Museo nazionale del cinema di Torino, dopo il lavoro comune svolto negli scorsi anni sulla cinematografia di Elio Petri, accogliendo inoltre il contributo di RTI-Mediaset, Lyon Film e Surf Film. Il risultato è un mirabile flashback sull'Italia del boom economico e sulle sue più ciniche contraddizioni, rappresentate in modo sublime da due mostri sacri come Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi.

Tre opere tanto diverse, dunque, quelle selezionate per "Venezia72 Classici", ma legate dal filo indissolubile della storia, dalla rappresentazione di una società che mostra i suoi tanti volti e che cambia, con l'umoralità e lo sguardo del cineasta che la vuole raccontare. Si passa dalla marxiana mercificazione dell'uomo, dall'orrore del fascismo e della crudeltà del potere, che lasciano senza fiato in  Salò, alla sprezzante e ironica caricatura dei  Mostri, con un'Italia che si industrializza e che, ancora inconsapevole, vede le prime scintille che porteranno alla futura globalizzazione etica e culturale. Una piattezza di pensiero e un male interiore ricoperto dal benessere della materialità - comuni anche alla denuncia intellettuale pasoliniana - che alla fine trovano respiro nella comica malinconia dell'immortale  Amarcord, inizialmente punta di diamante di questo monumentale trittico.

Un sogno divenuto realtà per l'"Immagine Ritrovata", che da tempo aspirava al restauro di quest'opera struggente e onirica, in cui la nostra terra è raccontata così bene, così visceralmente. Con il deposito delle casse dei negativi a Bologna, la casa produttrice "Cristaldi film" ha consentito la scoperta di un tesoro inestimabile, formato da tagli, doppi, backstage, per un totale di circa trenta ore di girato da digitalizzare. Scene e momenti preziosi, che hanno dato l'impressione di essere sul set accanto a Fellini, cogliendone appieno e direttamente l'essenza, le intuizioni artistiche e la tecnica, come mai prima era stato possibile. Padrino d'eccezione del recupero - a cui hanno contribuito Yoox.com, Warner Bros e Comune di Rimini - è stato Giuseppe Tornatore, che ha avuto il compito di montare i pezzi più significativi di questo girato inedito, in uno speciale da inserire come prologo del film.


Oltre a queste opere, l'egida della Cineteca è stata garantita anche per il ripristino del  Mercante di Venezia di Orson Welles, film di apertura della mostra di Venezia, che ne ha così celebrato il centenario della nascita, ma pure nel concorso principale, che ha visto tra i big la partecipazione di Marco Bellocchio, presidente della Fondazione bolognese.

In  Sangue del mio sangue, in competizione per il "Leone d'Oro", si riscontra ancora molto della storia biografica del regista piacentino, con un lavoro intimo, paziente, tra il mistico e il fantastico, non pienamente colto dal pubblico, ma apprezzato certamente dalla stampa cinematografica internazionale, che gli ha assegnato il premio "FIPRESCI". Girato nella nativa Bobbio, sull'Appennino piacentino, il film ha chiuso probabilmente il cerchio sui rapporti familiari aperto cinquant'anni fa con il primo lungometraggio,  I pugni in tasca.

Parla di origini, di ricordi, di ambiente e di un mondo che cambia anche il docufilm fuori concorso realizzato da Elisabetta Sgarbi, che con  Il pesce rosso dov'è? racconta gli abitanti del Delta del Po, la vita di ieri e di oggi lungo le sponde del Grande Fiume. Una vera e propria "Poeide" più politica che storica, vista con gli occhi dei pescatori, testimoni di un cambiamento di acque, di genti e di aria. Il film è stato realizzato con il contributo della Regione Emilia-Romagna e conclude la trilogia della regista e intellettuale ferrarese cominciata con  Per soli uomini e proseguita con  Il pesce siluro è innocente.

"Venezia72" ha dato inoltre l'occasione di appurare come Bologna stia diventando un polo distributivo internazionale di notevole spessore, grazie a realtà come "I Wonder Pictures" e "Unipol Biografilm Collection", che hanno acquisito per l'Italia i diritti in prima mondiale dell'attesissimo biopic  Janis, il film della statunitense Amy Berg sulla vita della rockstar Janis Joplin, scomparsa giovanissima nel 1970. Nel 2014 i distributori bolognesi avevano comunque già sfiorato il "Leone d'Oro" con  The look of silence di Joshua Oppenheimer, vincitore del "Gran Premio della Giuria".

Se  Janis è stato uno dei numerosi film che hanno contribuito a connotare come "musicale" l'edizione 2015 del festival, non di meno lo è stato  Il decalogo di Vasco, in cui il verbo di Vasco Rossi, raccontato con un taglio alla "Blob" dall'autore Rai Fabio Masi, ha portato al Lido migliaia di fan da tutto lo stivale, dando vita a un  red carpet delle grande occasioni, con tre generazioni schierate ad acclamare la star di Zocca.

L'Emilia-Romagna era presente anche in "Orizzonti", la sezione più creativa e sperimentale della kermesse veneziana, con il giovane regista Giovanni Aloi, in concorso con il cortometraggio  E.T.E.R.N.I.T., storia di immigrazione e fatica tra il documentario e la fiction, ambientata nel distretto ceramico di Sassuolo. La produzione franco-italiana ha salutato il ritorno sullo schermo di Serena Grandi, precedentemente coinvolta nella  Grande Bellezza di Sorrentino.

Il premio internazionale di videoarte "Maurizio Cosua 2015" è andato invece a Forlì grazie al duo di "Con.tatto", formato da Francesca Leoni e Davide Mastrangelo, vincitori della competizione con la videoperformance  Androgynous. La coppia, dal 2011, lavora e sperimenta le tematiche legate al corpo e ai suoi mutamenti, sulla scia di una tradizione artistica che ha reso la nostra regione un caposaldo internazionale fin dagli anni Settanta.

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