Rivista "IBC" XXIV, 2016, 1

musei e beni culturali / mostre e rassegne

A Ravenna l'esposizione La seduzione dell'Antico riflette sul fascino che l'antico ancora esercita sull'arte del Novecento.
Il passato che non passa mai

Enzo Vignoli
[Collaboratore della rivista 'OLFA. Osservatorio letterario Ferrara e l'Altrove']

Non è un facile gioco di parole, né un banale tentativo di aggirare il tema della mostra in corso al Mar, Museo d'Arte della città di Ravenna . Il titolo dell'articolo è tratto da una lapidaria considerazione di William Faulkner, secondo cui "il passato non passa mai, non è che una dimensione del presente".

Tale affermazione è citata dal curatore Claudio Spadoni nel saggio d'apertura del catalogo, che porta il medesimo titolo dell'esposizione ravennate: La seduzione dell'Antico. Il sottotitolo della mostra ? che si è chiusa il 26 giugno ? delimita l'ambito temporale entro cui si analizza il fascino esercitato dall'antico: Da Picasso a Duchamp, da De Chirico a Pistoletto. Quel passato che non passa mai sembrerebbe, pertanto, non essere "passato" soprattutto per il XX secolo. Mano a mano che la forbice temporale si allarga, le considerazioni su quanto si sia ancora o non si sia più debitori di un tempo che si allontana da noi, si fanno più urgenti e drammatiche.

Il giorno della conferenza stampa, alla domanda un po' a bruciapelo se nel titolo fosse implicita una valutazione d'impotenza dell'arte contemporanea, Spadoni ci ha subito precisato che il punto di vista suo e della mostra non ha alcuna valenza reazionaria. Semmai - ha proseguito - il fulcro è dato dal raffronto storico e dall'analisi della profondità delle tracce che l'"antico" ha lasciato nell'arte del Novecento e continua a riversare sui nostri giorni, anche se s'indaga se e quanto il secolo breve abbia tentato di fare tabula rasa e di rescindere i legami con la tradizione.

Pertanto, in sintonia diretta, ma ancora più stringente, con mostre precedenti (quelle che ricostruivano, più di dieci anni fa, percorsi mediati dal patrocinio dei grandi critici d'arte, quali Longhi o Arcangeli, ma anche altre più recenti, e pensiamo a Borderline e a Il Bel Paese), La seduzione dell'Antico chiama il visitatore a un coinvolgimento personale, allo stesso tempo emozionale e critico.

All'interno del suo scritto, Spadoni torna agli anni settanta, quando le cosiddette avanguardie ritenevano di "avere definitivamente messo sotto scacco [?] anche le ragioni di una continuità mai sostanzialmente interrotta". "Utopia", la definisce il curatore. E se invece si trattasse di un alibi in cui le avanguardie si rifugiavano dopo il frustrato tentativo di parricidio, tese a procrastinare all'infinito la loro incapacità di disegnare un presente che era subito assorbito dalla perenne fuga in avanti, a cercare un futuro, di fatto inesistente? Perché mai evocare il temutissimo epiteto di "reazionario" qualora s'intenda esplorare criticamente una stagione caotica in cui appare improbo identificare i percorsi seguiti, mentre è evidente l'incapacità di mantenere, sia pur per breve tempo, un nuovo status quo a cui rifarsi e da cui ripartire per ulteriori conquiste?

Nel saggio successivo, Elena Pontiggia ripercorre il difficile cammino intrapreso durante la prima parte del secolo passato, teso a trovare il significato corretto da conferire alla controversa formula di "ritorno all'ordine", in sostanza la chiave per rifondare un "nuovo classicismo" senza scadere nell'accademismo ottocentesco.

Marco Tonelli si rifà a Borges e alla sua concezione di "traduzione [?] bella quanto l'originale, se non è soltanto semplice copia, ma anche immedesimazione [?] da un punto diverso del tempo!". Cita, poi, lo scultore inglese Marc Quinn, che invita a guardare con gli stessi occhi statue che ritraggono persone che per vari motivi hanno subito amputazioni di arti e le sculture antiche giunte menomate ai nostri giorni per l'ingiuria del tempo. Respingiamo tale esortazione, ai nostri occhi solo un mascheramento intellettualistico. Si ammira la Venere di Milo non perché è un frammento di bellezza, non per il sapore precostituito della cosa che ha subito l'offesa del tempo, ma perché quel frammento ci restituisce l'idea della sua interezza, laddove l'interesse per statue che riproducano volutamente mutilazioni, ci appare solo macabro guardonismo. Tonelli chiude il suo scritto affermando che oggi "l'unico stile contemplato è quello della navigazione a vista", considerazione che appare arduo confutare.

Nell'ultimo saggio del catalogo, Marco Antonio Bazzocchi termina il suo affascinante excursus letterario citando Super-Eliogabalo, romanzo scritto nel 1968 da Arbasino. Partendo dalla biografia dell'imperatore romano vissuto nel III secolo d.C., l'autore imbastisce una sorta di pastiche storico letterario che Bazzocchi sintetizza e commenta così: "Un imperatore lezioso e agghindato alla moda, un giovane che sovverte ogni regola e rifiuta ogni legge: potrebbe essere questa l'ultima sopravvivenza del fantasma classico in un corpo sfacciatamente moderno?". Fin troppo facile trovare qui attinenze storiche tra la decadenza dell'Impero Romano e quella dell'attuale civiltà occidentale.

Per concludere, appare difficile sintetizzare il senso di questa mostra, affascinante e problematica per ragioni sociologiche e filosofiche prima ancora che per le pur notevolissime testimonianze artistiche e per i rimandi storici. Ci limitiamo a segnalare la presenza della Crocifissione, olio su tela del 1954, in cui Salvador Dalí sa rendere con efficacia straordinaria la continuità della condizione umana in due millenni di storia.

La seduzione dell'antico. Da Picasso a Duchamp, da De Chirico a Pistoletto, a cura di Claudio Spadoni, Mandragora, Firenze, 2016.

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