Rivista "IBC" XXV, 2017, 2

musei e beni culturali, biblioteche e archivi / restauri

Riaperta al pubblico dopo i restauri la Sala dantesca della Biblioteca Classense a Ravenna.
Lo spazio ritrovato

Claudia Giuliani
[già direttrice Biblioteca Classense, Ravenna]

È stata riaperta al pubblico con una serie di eventi protrattisi lungo il mese di marzo la cinquecentesca Sala Dantesca della Biblioteca Classense di Ravenna, dopo oltre due anni di chiusura per restauri e dopo una prolungata sospensione dall’uso pubblico quale sede per conferenze ed eventi. Questo spazio “nobile” della Classense era stato inaugurato come “Sala di Dante” nel 1921, in occasione del sesto centenario della morte, ma fin dai primi anni postunitari vi si svolgevano letture e lezioni a tema dantesco. Fu concepita come refettorio grande del Monastero camaldolese classense in un momento di grande rinascita dell’ordine romualdino a Ravenna, nell’ultimo quarto del Cinquecento, dall’Abate di Classe Pietro Bagnoli da Bagnacavallo. Pietro, figura di riformatore dell’ordine camaldolese in chiave di recupero del fervore umanistico del secolo precedente, che aveva visto i camaldolesi in prima linea, avviò anche una politica di committenza artistica che mirava a fare dell’abbazia classense uno dei luoghi emergenti della città di Ravenna, in contemporanea con altre restituzioni architettoniche e riforme, che venivano compiute nella città dal cardinal d’Urbino, Giulio della Rovere, alla cerchia del quale Pietro Bagnoli appartenne. Assieme alla rinascita della biblioteca dell’Abbazia di Classe, il cinquecentesco refettorio “novo” venne a sigillare il significativo legame fra la città e il monastero di Classe: la mondana quotidianità cittadina viene raffigurata sull’ampio muro di fondo nello scenografico dipinto delle Nozze di Cana, evangelico banchetto popolato, grazie ai pittori Luca Longhi con i figli Francesco e forse Barbara, di illustri ravennati contemporanei, a impersonare i sacri protagonisti del miracolo, mentre la venerabile figura del padre fondatore dell’ordine, San Romualdo, campeggia nell’affresco sul soffitto, dormiente ai piedi di un albero, mentre i personaggi del suo profetico sogno, i monaci biancovestiti, salgono e scendono la scala fino al cielo. L’accostamento volle alludere ad una ravennate Classe, luogo del primo monachesimo del pure ravennate Romualdo, in posizione di primato nella vicenda della sua riforma. Alla decorazione pittorica, completata nel soffitto da lunette a grottesche e occhieggianti squarci di cielo a trompe-l’oeil, si affiancano da subito i lavori di intaglio, la bella porta scolpita a temi biblici da Marco Peruzzi, come gli stalli antropomorfi collocati lungo le pareti.

Gravi danni colpirono il dipinto a olio su muro – il più importante eseguito a Ravenna, celebrato dai contemporanei con versi e cronache, già nella prima metà del Seicento – quando una devastante alluvione ne dilavò la parte inferiore. I danni dell’umidità continuarono inesorabilmente a togliere materia al dipinto, più volte restaurato, in periodo di governo abbaziale e successivamente. La grande sala conservò anche in seguito alle soppressioni la sua impronta magniloquente ma non sfuggì a rimaneggiamenti e reimpieghi, quale quello a sala espositiva per il nuovo Museo Nazionale. Il recupero di una nuova dimensione civica fu definitivo nel 1921, con la destinazione a luogo delle letture dantesche.

In seguito all’importante restauro negli anni settanta del Novecento, le Nozze di Cana di Luca Longhi divennero un “affresco staccato” secondo la consuetudine di quella stagione, collocato su lamina di alluminio allo scopo di allontanarlo dall’umidità di risalita. La perdurante condizione del microclima, gli effetti degradanti delle colle impiegate nei distacchi hanno imposto quest’ultimo definitivo intervento, compreso all’interno dei lavori del terzo stralcio dei restauri della Biblioteca Classense, finanziato da Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna, Regione Emilia-Romagna, Comune di Ravenna.

Un’animata riflessione, assecondata anche dai lavori di un convegno tenutosi nello scorso anno in collaborazione con l’Università di Bologna, sede di Ravenna, volto a ricostruire genesi e vicende storiche e artistiche della sala fino alla sua definizione civica in chiave dantesca, ha inoltre rafforzato l’individuazione delle problematiche conservative in atto e la loro risoluzione sullo sfondo di una coerente definizione dell’immagine estetica delle superfici. Per gli arredi della Sala Dantesca, l’accurata campagna di analisi è stata così volta ad accertare anche il trattamento di finitura “originario” del legno, corrispondente alla tonalità scura ancora presente che simulava un’essenza lignea di pregio; tale patinatura è stata dunque mantenuta e “alleggerita” degli strati di epoca più recente al fine di apprezzare l’intenzione estetica originaria. Similmente ai litotipi del vestibolo, la cui pulitura, accuratamente calibrata, non ha intaccato la naturale patina del tempo.

Il sistema di illuminazione è stato definito in funzione della vocazione d’uso storica e attuale degli ambienti, nel rispetto delle caratteristiche degli spazi e del testo architettonico. Così il vestibolo viene caratterizzato da un grado di luminosità diffusa piuttosto basso e privo di elementi di accento, che ha voluto mantenere la connotazione storico-tipologica di ambiente raccolto, filtro di passaggio verso il refettorio, dove la luce delle grandi, storiche vetrate artistiche si integra con una illuminazione che valorizza la monumentalità dello spazio architettonico e la lettura degli apparati decorativi.

Il dipinto delle Nozze di Cana di Luca Longhi è stato approcciato con due metodologie, una di natura conservativa, che si è concentrata sull’arresto di un attacco fungino, indirettamente generato dallo strappo, e una di natura prettamente estetica, che ha comportato la scelta non solo di integrare le numerose lacune, nette e localizzate, della porzione di affresco integra, ma anche di riproporre sotto tono la grande porzione mancante, ma testimoniata da tracce pittoriche e documenti, lungo il bordo inferiore.

Rilevante la sinergia fra i vari responsabili del restauro, condotto in una fase di cambiamento amministrativo: storici dell’arte e restauratori, rappresentanti della Soprintendenza oggi Archeologia, belle arti e paesaggio, della pubblica amministrazione, la direzione della Biblioteca e i responsabili della progettazione hanno consentito la riapertura di una sala oggi pienamente “civica”, di valenza simbolica per la città, che racconta una lunga storia religiosa, artistica, sociale e assieme si propone con una funzione culturale all’approssimarsi del nuovo centenario dantesco.

Il restauro è stato condotto sotto la supervisione della Soprintendenza Archeologia belle arti e paesaggio per le province di Ravenna, Forlì-Cesena, Rimini, arch. G. Cozzolino (dirigente); arch. E. R. Agostinelli (responsabile Area Patrimonio Architettonico) con la collaborazione di F. Faranda. Progettazione del restauro architettonico e conservazione dell’arch. G. Cuppini (capogruppo), Bologna; direzione lavori ing. L. Tundo, Bologna. Restauro manufatti lignei Agostini Restauri Opere d'Arte, Pistoia. Restauro manufatti lapidei Attucci s.r.l., Pistoia. Restauro del dipinto del Laboratorio degli Angeli S.r.l, direttore tecnico C. Roversi Monaco. Esecutore Opere Edili e Impiantistiche Consorzio Coarco.

 

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