Rivista "IBC" XXVII, 2019, 1
territorio e beni architettonici-ambientali / mostre e rassegne
La chiesa di San Carlo a Modena ha ospitato, dal 16 dicembre 2018 al 10 febbraio 2019, la mostra La città del Novecento e il suo futuro. Modena architetture e sviluppo urbano, promossa dall’Ufficio Ricerche sulla Storia Urbana dell’Assessorato alla Cultura, con la collaborazione di numerosi enti locali e regionali, istituzionali, culturali, universitari, professionali ed economici, coinvolti a vario titolo negli ambiti della trasformazione urbana. ( 1)
Pur auspicando che occasioni come queste rappresentino lo spunto per nuove modalità e momenti di riflessione, il progetto si presenta come la tappa conclusiva di un lungo percorso di ricerca e divulgazione sulla storia della città iniziato nel 2012. ( 2) Ciò consente qualche considerazione di carattere generale.
In primo luogo risulta interessante notare come ad una coralità dei partecipanti corrisponda un’estensione del “pubblico” (parola che tornerà tra breve in altre accezione) che l’esposizione intende raggiungere; volutamente il più vasto possibile, in un racconto che intreccia, secondo quasi la metodologia della public history diversa dalla sola divulgazione , cultura specialistica e opinione comune, azione di governo e pratiche di cittadinanza.
Il secondo aspetto che emerge dal progetto, è quello dell’identificazione delle cause delle trasformazioni urbane in una pluralità di fattori combinati in rapporti non lineari, frutto non di immediate relazioni causa-effetto conseguenti le scelte dei decisori o dei principali attori; tale posizione critica, poi, diventa quasi obbligata se si sceglie di concentrarsi sul secolo appena trascorso. Deriva da ciò il chiaro indirizzo che muove la mostra, quello di presentare l’evoluzione avvenuta nel corso del Novecento come il principale terreno di formazione della Modena di oggi e, come esplicitato dal titolo, come quello in cui si manifestano le maggiori necessità e opportunità di intervento se si vuole tracciarne il futuro.
In questo quadro in cui le conseguenze e i valori delle trasformazioni urbane possono non apparire di immediata identificazione, la dimensione pubblica dell’urbanistica e dell’architettura si pone come costante e centrale filo conduttore, individuabile, in particolare, in alcune “morfologie pubbliche” ( 3): gli esiti di una pianificazione coordinata e diretta dalle strutture politiche e tecniche dell’amministrazione, la residenza, i servizi, i luoghi pubblici e del lavoro, quest’ultimi intesi anche come spazi e non solo come relazione tra istituzioni e mercato, ( 4) a testimonianza di quella non linearità e univocità dei processi a cui ci si riferiva sopra.
Questo sforzo plurale e corale, poi, non può che attingere per darne corretta rappresentazione, da una molteplicità di fonti, provenienti da diversi fondi disponibili negli archivi comunali e non solo ( 5), materiali tangibili, “parlanti”, non solo destinati alla conservazione e alla consultazione specialistica.
Accanto a quelli tradizionali: disegni di progetto, corrispondenze, cartografie ecc…, una serie di altri contributi inquadrano lo sviluppo della città nella condizione del presente. Tra questi, i filmati realizzati per l’occasione, mescolano le riprese a terra e dal drone con i materiali storici, presentando una declinazione della città pubblica nei vari passaggi del secolo, rendendo evidente il cuore del tema espositivo. Ancora, posta al termine del percorso, la presentazione delle numerose banche dati sul patrimonio architettonico del Novecento realizzate dal Comune, dall’Istituto Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna e dal Ministero dei Beni Culturali ( 6), consentono di affiancare la vicenda di una città ad altre realtà, vicine e non, grazie a cui confrontare e sottolineare analogie e differenze. La consultazione attraverso la mappa multimediale e la facile accessibilità da piattaforme on-line, permettono anche l’allargamento di una conoscenza, facilmente disponibile per il pubblico ma attualmente poco utilizzata.
La trasformazione urbana emerge quindi, dai casi più interessanti, in primo luogo come un fatto culturale, sintesi realizzata o no, di una stratificazione di idee e di fattori complessi. Gli aspetti formali e stilistici perdono in tal modo la centralità che caratterizza “altre” storie dell’architettura, presentandosi come espressioni necessarie di un fatto costruito e non come la principale chiave di lettura. Riveste maggior interesse, semmai, la comprensione di come questi si manifestino in una città distante dai principali centri del dibattito e di come e quale clima culturale attecchisca in una città di provincia, veicolato dalla circolazione proveniente da altri centri, che nel caso di Modena sono sicuramente Bologna e Milano. La storia non è pertanto fatta di opere maestre, che nel caso di Modena sarebbero relegate, per quanto riguarda l’architettura moderna, al solo caso dell’ampliamento del cimitero di San Cataldo di Aldo Rossi e Gianni Braghieri. (FOTO 2) Appartengono a queste manifestazioni, anche occasioni perse di importanti progetti (FOTO 3), i casi più contraddittori, da cui far emergere criticità e qualità (FOTO 4-6), edifici dall’anonimo linguaggio ma dall’importante valore civico (FOTO 7), edifici demoliti di cui rimane traccia nella memoria collettiva (FOTO 8), antichi e nuovi spazi pubblici (FOTO 9). Più che nelle sue architetture d’autore, l’immagine della città è fissata dagli sguardi d’autore dei numerosi fotografi: Paolo Monti, Olivo Barbieri, Gabriele Basilico, tra gli altri. (FOTO 10) E anche in questo caso le campagne promosse dall’IBC, rappresentano un indispensabile punto di riferimento.
[1] Venendo più nel dettaglio agli aspetti scelti per presentare le specificità dello sviluppo urbano di Modena, la mostra propone una divisione cronologica abbastanza consueta, utile però per schematizzare la complessità degli obbiettivi sopra descritti. Le prime due sezioni presentano i principali passaggi fino alla Seconda Guerra Mondiale, suddivisi in una prima parte riguardante il profondo mutamento occorso dalla fine del XX secolo alla Grande Guerra e in una seconda, comprendente il ventennio fascista. Le trasformazioni urbane di questo periodo non si discostano da quanto avviene in altri centri del Paese, in particolare nella vicina Bologna, definendo, a partire dall’abbattimento delle mura, lo sviluppo della città lungo fasce di espansione concentriche il perimetro dei viali. Predomina anche a Modena una pratica ingegneristica basata sulle teorie di una cultura igienista che attraverso lo sventramento di porzioni di centro storico e nuove edificazioni impostate su piccoli blocchi di abitazione in lotti liberi, mira alla rarefazione delle densità edilizie, “garanzia” di una maggiore salubrità. Mancano contributi innovativi, tanto per quanto riguarda la ricerca stilistica Liberty, quanto, in seguito, quella modernista d’avanguardia; così come sono assenti i contributi più celebrativi e retorici del fascismo. Per cogliere un tratto comune, si può dire che prevalga un senso civile dell’architettura, che rimanda a quella dimensione pubblica cui si accennava in precedenza. Ciò si rende visibile nelle migliori prove professionali degli uffici tecnici del comune che innervano la città, fin dai primi decenni, di un’ossatura di servizi pubblici a sostegno dei cittadini e dell’economia della città, che caratterizzerà con continuità le linee guida anche dei futuri sviluppi: il frigorifero comunale (1906), i quartieri IACP (1909), il nuovo Macello comunale (1933), i mercati al dettaglio e all’ingrosso (1933, 1934). Oppure nei luoghi del consenso decentrati del regime, negli edifici dei Gruppi Rionali Fascisti (GRF) o negli edifici pubblici scolastici come il Liceo Tassoni (1940). Non mancano episodi intorno a cui si concentra un più ampio dibattito e l’interesse di una cultura che oltrepassa i confini comunali, coinvolgendo protagonisti di indiscussa caratura nazionale. Tra questi vale la pena ricordare: la vicenda dello Stadio (1938), dell’Ospedale (concorso 1933, realizzazione 1963) o del Concorso per la Cassa di Risparmio (1935).
Peculiare delle condizioni socio-economiche che si concretizzano in città è la diffusione, in un quartiere posto lungo la fascia di espansione orientale, di un tessuto di piccole attività manifatturiere legate alla meccanica di precisione e al settore automobilistico, sportivo e non, che offrirà spazi e competenze per lo sviluppo di una dell’eccellenze delle città, mescolato a luoghi destinati al tempo libero, a residenze borghesi e popolari.
I maggiori tratti distintivi dell’indirizzo pubblico della pianificazione nella costruzione della città si mostrano, nel Secondo Dopoguerra. Dopo il piano di ricostruzione diretto dal sodalizio tecnico e politico tra il sindaco Alfeo Corassori e l’ingegnere Mario Pucci, che porta all’invenzione, tutta modenese, del primo Villaggio artigiano di Modena Ovest (1949), negli anni sessanta il piano di Campos Venuti (1965), in particolare, indirizza la città verso quello che sarà il suo carattere distintivo. Una politica rivolta alla riduzione delle densità edilizie e del controllo della rendita fondiaria produce i piani PEEP per l’edilizia residenziale e l’innalzamento degli standard di servizi: edifici pubblici, in particolare scolastici e verdi. In questo tentativo di controllo delle rendite non mancano, però, ampie parti di città costruite secondo le spinte della speculazione edilizia che offrono, analogamente a tutta Italia in questo controverso periodo, accanto a cesure e discontinuità della compattezza della città storica, alcune occasioni per esercizi professionali di buona qualità. Il confronto con l’esplosione della crescita urbana a Modena non conosce grandi criticità negli anni settanta e ottanta. La realizzazione di complessi direzionali o residenziali: il Direzionale Settanta (1968), il Condominio R-Nord (1970)oLe Piramidi delle Morane(1981), rimangono casi episodici rispetto ad altri contesti e per questo, forse proprio per la loro condizione di frammento, ancor più contraddittori. Parallelamente nel centro storico, il Piano di Recupero che nuovamente deriva dall’esperienza bolognese di Pierluigi Cervellati, consente di fondare quei valori qualitativi riconoscibili anche oggi, frutto di nuovi ripensamenti: il recupero dei contenitori culturali, la pedonalizzazione degli spazi pubblici, la rivitalizzazione delle aree più marginali grazie al difficile mantenimento delle attività commerciali. Accanto ai migliori esempi come il recupero della biblioteca San Carlo (1977) o della Caserma Santa Chiara (1983) si tenta, senza riuscirci, di ridefinire il volto del cuore della città attraverso il progetto, realizzato, della Cassa di Risparmio affidato a Giò Ponti (1966) e a quello, non realizzato, di Carlo Scarpa per la pavimentazione di Piazza Grande (1966).
In conclusione, riprendendo l’assunto che nella città del Novecento si giocano le maggiori sfide per la città del presente, la presentazione dei progetti in atto per la rigenerazione di significative porzioni urbane non può che avvalersi dell’indagine storica, per fornire al “pubblico" gli strumenti critici necessari.
Mostra:
La città del '900 e il suo futuro. Modena Architetture e sviluppo urbano
A cura di Ufficio Ricerche e Documentazione Comune di Modena
15 dicembre 2018-10 febbraio 2019
Modena, Fondazione Collegio Chiesa di San Carlo
Note
1. A cura di Vanni Bulgarelli e Catia Mazzeri, il progetto è sostenuto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, dall'Istituto Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna, dalla Banca popolare dell'Emilia Romagna, dal Consorzio attività produttive - aree e servizi, collaborano numerosi enti e istituzioni come la Fondazione collegio San Carlo, l'Istituto storico, gli ordini professionali degli architetti e degli ingegneri, la Biblioteca civica d'arte Luigi Poletti, la Fondazione Modena arti visive e l'Archivio storico comunale di Modena, il Dipartimento di Economia “Marco Biagi” UNIMORE, il Dipartimento di Ingegneria “Enzo Ferrari” UNIMORE, l'Archivio architetto Cesare Leonardi.
2. Si vedano: Città e architetture. Il Novecento a Modena, a cura di Catia Mazzeri, Modena,Franco Cosimo Panini editore, 2012 e Modena nel Novecento. Manufatti e manifatture: le architetture del lavoro e dell'economia, a cura di Catia Mazzeri, Vanni Bulgarelli, Modena,Franco Cosimo Panini, 2016.
3. Si veda Carlo Olmo, Architettura e Novecento, Torino,Donzelli Editore, 2010, pagina 33.
5. I materiali esposti provengono da: Archivio Storico del Comune di Modena (AscMO), Archivio Sportello urbanistica e edilizia (SUE), Biblioteca Luigi Poletti - Archivio Vinicio Vecchi e Archivio Franca Stagi, Fondazione Arti Visive, Archivio Piero Bottoni - Politecnico di Milano - DAStU, Fondazione MAXXI. Centro Archivi di Architettura - Archivio Enrico del Debbio e Carlo Scarpa.
6. A partire dalla pubblicazione del volume Quale e quanta: architettura in Emilia-Romagna nel secondo Novecento, a cura di Maristella Casciato e Piero Orlandi, Bologna, CLUEB, 2005, numerosi sono i risultati delle ricerche sull’architettura del Secondo Dopoguerra.
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