Rivista "IBC" XXVII, 2019, 1
musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali / mostre e rassegne, progetti e realizzazioni, restauri
Forme pulite, frammenti di un’architettura della storia aggregati e ricomposti in modo nuovo. Il rosso mattone, il giallo intenso, il bianco, che emergono dalle fibre del legno da cantiere della struttura. L’architettura effimera del grande architetto milanese Aldo Rossi torna a mostrarsi al pubblico nella sua originale forza e significato, dopo 36 anni e un necessario intervento di manutenzione.
La Macchina modenese, questo è il suo nome, svetta perfettamente a suo agio, nei suoi 7 metri di altezza, al centro della grande fabbrica del Laboratorio aperto di Modena, l’ex centrale Aem, dove le pareti della struttura, rinnovata di recente, per un fortuito caso assecondano le tonalità di questo straordinario manifesto della poetica personale di Rossi, destinata a rinnovare significati e figure dell’architettura razionale. Il manufatto incanta fin da subito chi lo osserva per l’equilibrio e la plasticità delle forme, riconoscibili eppure nuove nella ricomposizione e nel dialogo tra loro.
All’ingresso, prima di accedere al corpo centrale della fabbrica, il visitatore è accolto dalle fotografie realizzate nella notte precedente l'inaugurazione da Olivo Barbieri, artista che negli anni ’80 ha lavorato al progetto Viaggio in Italia, su invito di Luigi Ghirri, di cui ricordiamo l’immagine indelebile del cubo rosso del Cimitero di Modena, progettato da Aldo Rossi, immerso in candida neve.
Ogni ricostruzione di un oggetto - temporaneamente scomparso -, trova nella rappresentazione virtuale la sua sede più appropriata. E in questa occasione Olivo Barbieri, isolando la Macchina dal contesto, ne restituisce plasticamente la valenza di tavole architettoniche, attraverso la serie di immagini che scorrono sul maxi schermo.
"Una costruzione di queste proporzioni – sostiene Barbieri – sembra esistere per essere osservata, studiata. Anche se però è lei che ci guarda, pone delle domande, interroga".
La Macchina modenese venne alla luce grazie ad una mostra realizzata a Modena nell’83 sull’opera del maestro milanese, che aveva vinto nel ’71, assieme all’architetto Gianni Braghieri, il concorso per il progetto del Nuovo Cimitero di San Cataldo. L’ esposizione, a cura della Galleria Civica di Modena, diretta allora da Nino Castagnoli, fu allestita nella Palazzina dei Giardini, acquisita come spazio per le esposizioni e contraddistinta da una grande cupola nella parte centrale.
Aldo Rossi aveva precedentemente realizzato, in occasione della Biennale di Venezia dell’80, il Teatro del Mondo: un teatro galleggiante di 25 metri di altezza, costituito da un parallelepipedo a base quadrata di circa 9,5 metri di lato per un'altezza di 11 metri, con una struttura portante in tubi di acciaio rivestita da un tavolato di legno, sovrastato nella sua sommità da un tamburo ottagonale. Una struttura effimera che dopo aver attraversato i canali veneziani, aveva attraversato l'Adriatico fino a raggiungere Dubrovnik per poi essere smontata nel 1981.
Racconta Fausto Ferri, l’allestitore di allora e al quale si deve la conservazione negli anni della Macchina modenese e la curatela di questa nuova edizione dell’esposizione, che la cupola della Palazzina dei Giardini era molto imponente per contenere solo il plastico del progetto del cimitero e memore del Teatro del mondo – progettato da Rossi per la Biennale di Venezia nel’79 – suggerì all’architetto di realizzare sotto la cupola una costruzione che potesse restituire in modo chiaro il significato della sua architettura.
La Macchina modenese esce quindi dai magazzini comunali, dove è stata conservata in tutti questi anni e dopo un’accurata manutenzione, “ci restituisce – come afferma Gianni Braghieri –un’immagine che è la somma di pezzi e frammenti di un’architettura della storia, nello stesso tempo rivisitata, che non è altro che la somma di un magazzino della memoria, a cui Rossi attinge per comporre i suoi disegni”.
“Nella planimetria – secondo l’architetto Braghieri – si rileggono le tipologie a corte delle scuole di Fagnano Olona e di Broni con la disposizione delle parti secondo una linea orizzontale con il segno centrale e direzionale della grande colonna sormontata dal prisma, più volte presente nei progetti di Rossi. La corte delle scuole diventa il grande edificio cubico scoperchiato che riprende e unisce i singoli setti che, in diversa e progressiva altezza, sono l’elemento centrale del cimitero di Modena. Alla fine della successione di questi elementi, una torre telescopica sostituisce il tronco di cono della ciminiera e diventa un evidente omaggio alle pitture metafisiche delle piazze d’Italia di Giorgio De Chirico”.
Aldo Rossi, intellettuale a tutto campo, che ha alternato la progettazione architettonica e il design industriale all’insegnamento universitario, senza tralasciare pittura, scrittura e persino la regia cinematografica, è uno dei pochi architetti italiani ad aver ricevuto il prestigioso premio Pritzker (nel 1990), a cui si sono aggiunti, nel tempo, altri prestigiosi riconoscimenti. Grande innovatore, ha superato nel suo lavoro le metodologie del movimento moderno, trovando una sua originalità caratterizzata dal recupero del passato e della memoria, coniugato alle forme dell’avanguardia.
I suoi edifici- spiega l’architetto Paolo Portoghesi, che lo aveva invitato alla Biennale dell’80- sono involucri molto semplici, all’interno dei quali si svolge quella che Rossi chiamava “la calda vita”. Il pensiero poetico dell’architetto diviene strumento per consentire alla vita quotidiana di trovare la sua armonia con l’ambiente esterno”.
Del suo lavoro colpisce la plasticità, l’utilizzo degli archetipi: timpani, colonne, cupole, forme ricorrenti nella storia dell'architettura, da lui rilette in chiave moderna, che vanno ad amalgamarsi con il tessuto delle città in cui interviene, rendendo il risultato nello stesso tempo innovativo e tradizionale.
"Ho sempre pensato all'architettura come monumento – ha affermato Aldo Rossi – … solo quando essa si realizza come monumento costituisce un luogo".
La Macchina modenese è un’architettura, è monumento, è una sintesi dei suoi segni, della sua poetica. Osservarla da tutte le sue angolature e viverla, entrandovi, è una scoperta, che porta a riflessioni interessanti.
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