Rivista "IBC" XXVII, 2019, 1
musei e beni culturali, territorio e beni architettonici-ambientali / corrispondenze, itinerari
Nel territorio dell’Emilia-Romagna vive un gruppo di specie vegetali la cui presenza è fortemente legata a beni storico-culturali come castelli, rocche, mura urbane e altri insediamenti antichi.
La flora di cui si parla rappresenta un patrimonio di natura biologica ed ecologica e riveste anche un notevole interesse storico culturale; si parlerà infatti di un insieme di specie che sono presenti nel territorio dell’Emilia-Romagna come relitto, seppur naturalizzato, di antica coltivazione. Questo insieme può essere sinteticamente indicato come “flora storico-culturale”, intendendo con questa dizione sintetica sia l’interesse che riveste, ma anche l’origine; in ambiente francese si parla di “flore médievale”, una dizione semplice, efficace e sostanzialmente corretta.
Le antiche opere botaniche hanno identificato un insieme di specie utili che venivano coltivate in passato; queste stesse specie sono oggi presenti nel nostro territorio proprio in conseguenza della antica coltivazione e la loro presenza persiste già da diversi secoli, costituendo una singolarissima continuità biologica, ecologica e storico-culturale.
Con l’occasione del progetto “castelli” è stato svolto un primo approfondimento per tentare una prima individuazione di questo patrimonio e per poterne valutare la consistenza, l’importanza e lo stato di conservazione e anche per ipotizzare iniziative di valorizzazione.
L’argomento presenta infatti anche un forte interesse didattico che potrebbe concretizzarsi in azioni specifiche di promozione; sono note alcune esperienze come ad es. l’identificazione di
Murs Sanctuaires, come avviene nella città di Ginevra. Ci si augura che possa prendere l’avvio – e non solo in Emilia-Romagna – una stagione di rilevamento sistematico della presenza e distribuzione di queste notevoli persistenze e la presa di coscienza della necessità di rispettarle e conservarle.
I muri offrono possibilità di vita a diversi organismi vegetali; alcune specie sono infatti in grado di insinuare il loro apparato radicale nelle commissure e discontinuità tra gli elementi che costituiscono il muro, siano essi mattoni lateritici o conci di natura rocciosa (calcarea, ofiolitica, marnosa, arenacea, ecc.). Tali discontinuità, raccordate con calce a volte mescolata con frammenti di pietrisco, sono adatte alla germinazione dei semi e alla crescita di piante sia erbacee che arbustive ed arboree.
Può essere ricordato che l’epiteto
muralis è stato attribuito a diverse specie, tra cui la più emblematica può essere la Cimbalaria dei muri (
Cymbalaria muralis), che nella tradizione iconografica veniva raffigurata sempre ambientata tra i mattoni di un muro. Si veda ad esempio l’immagine nel Mattioli, che la tratta al Libro IV, Cap. XCV, ma anche la tavola dell’
Hortus pictus aldrovandiano, consultabile in
http://aldrovandi.dfc.unibo.it/
Anche l’epiteto
tectorum si riferisce a manufatti ed è stato attribuito a una specie tipicamente legata ai tetti:
Sempervivum tectorum.
In generale nei muri si producono condizioni simili a quelle che in natura si trovano in ambienti rocciosi, per cui la flora che cresce in questi habitat artificiali è costituita da specie rupicole, cioè di ambienti rocciosi e rupestri.
Le specie di cui si parla fanno parte di un gruppo la cui presenza e distribuzione nel territorio può essere spiegata grazie al fatto che anticamente erano coltivate negli interstizi dei muri oppure in orti o giardini e la cui presenza allo stato spontaneo è sempre in collegamento diretto e immediatamente individuabile con antichi insediamenti. Nella fascia collinare, tipicamente si tratta di insediamenti collocati in posizione dominante, rupi e rocce, adatte a scopi militari e di controllo del territorio.
Anticamente la produzione dei
semplici vegetali avveniva in appositi orti o giardini, presso conventi, monasteri, castelli, ville, ma anche presso medici e farmacisti; di questi orti un cospicuo elenco si trova nelle opere rinascimentali, come ad esempio i
Discorsi del Mattioli nelle sue diverse edizioni. La coltivazione avveniva per comprensibili motivi pratici; era infatti così possibile avere la materia prima facilmente disponibile, raccoglierla nel momento migliore e soprattutto avere piante di identità accertata. Analizzando le stesse opere del Mattioli risulta evidente che esisteva una fitta rete di scambi di semi, rizomi, bulbi tra professionisti (soprattutto medici e speziali) del tempo. Grazie a questi orti, di natura essenzialmente privata entravano nel territorio piante estranee alla flora locale che poi potevano rendersi spontanee nei dintorni.
Negli stessi anni o poco più tardi saranno fondati orti botanici pubblici presso le Università; strutture che avranno sempre più una funzione didattica generale e scientifica.
Questo nucleo di piante passa intatto attraverso i secoli e diventa il punto di partenza per lo studio della flora in senso moderno. Un documento di grande importanza che testimonia l’esistenza di orti di proprietà imperiale e che ne stabilisce la composizione è il cosiddetto
Capitulare de villis (fine VIII-inizio IX sec.), emanato da Carlo Magno o da un suo successore, dove vengono elencate le piante che dovevano essere presenti negli orti stessi. Il documento svolge un ruolo decisivo per almeno due ragioni. La prima: viene dimostrata l’esistenza di un disegno unificatore che diviene un potente fattore di diffusione di alcune specie di interesse officinale, farmaceutico, alimentare; la seconda: costituisce una testimonianza concreta della continuità tra elenchi di piante trattate negli erbari antichi e le opere a stampa di produzione rinascimentale. Non è quindi un caso se alcune delle piante di cui si parlerà qui compaiano anche nel
Capitulare.
Per confermare quanto profondo sia stato l’influsso del
Capitulare si può citare il fatto che in esso si dà indicazione affinché l'ortolano faccia crescere sul tetto della sua abitazione la
Barba di Giove, che corrisponde al Semprevivo (
Sempervivum tectorum), chiamato
Jovibarba ovvero Barba di Giove e che si credeva proteggesse la casa dai fulmini; anche oggi vive sui tetti degli edifici antichi soprattutto in alta collina, ma anche in pianura. La tradizione ha quindi un’età perlomeno millenaria!
Un altro rinvenimento recentissimo effettuato nel corso di questa indagine e il cui significato richiede di essere approfondito è quello di
Juniperus sabina (la Sabina o Savina) che è ampiamente presente al Castello di Gropparello (unica presenza nota nel territorio regionale) e che pure compare nell’elenco carolingio, così come nel Mattioli (1573: 114).
Le specie di cui si parlerà sono quelle che nel territorio dell’Emilia-Romagna rientrano nelle seguenti categorie:
- Sono trattate in antiche opere relative alla Materia medica ovvero a repertori botanici antichi (dal periodo classico fino al XVII sec).
- Sono presenti solo in diretto ed evidente collegamento con antichi manufatti (rocche e castelli) e altri insediamenti (mura cittadine, antichi conventi) anche allo stato di ruderi.
- Presentano una distribuzione geografica regionale molto frammentata.
In alcuni casi si tratta di piante un tempo ampiamente coltivate e naturalizzate ma poi scomparse o fortemente rarefatte in seguito all’abbandono della coltivazione.
Naturalmente l’argomento può essere notevolmente ampliato; la selezione delle piante da indagare è stata molto severa. Tuttavia, seguendo la medesima impostazione metodologica sarà possibile individuarne altre che presentino le stesse caratteristiche storico-culturali, distributive ed ecologiche.
Il sintetico elenco che segue è ordinato secondo libri e capitoli come presentati da Dioscoride, e ripresi da Mattioli. Attualmente l’analisi è stata svolta su 15 casi; seguono alcuni casi particolarmente espressivi.
Iride ( Iris “germanica” e altre). La coltivazione delle Iris è antichissima, tanto che ne parlano già Teofrasto e ovviamente Dioscoride, che la colloca nel Libro I, Capitolo I. Nel territorio regionale, oltre a Iris germanica, sono in significativa relazione con insediamenti antichi anche I. lutescens, anticamente segnalata presso il Castello di Tabiano, I. pallida nota presso Quattro Castella e I. foetidissima che attualmente è in fase di diffusione.
Valeriana rubra ( Centranthus ruber (L.) DC.). Sotto il nome di Valeriana vengono comprese diverse specie le cui proprietà terapeutiche sono note fin dal Dioscoride, che le tratta col nome greco Phu. La cosiddetta Valeriana rossa in Emilia-Romagna si trova in prossimità o in corrispondenza di antichi insediamenti.
Cappero ( Capparis); sono trattati da Mattioli nel Libro II, Cap. CLXIV che tra l’altro afferma: “Nascono i Cappari abondantemente anchora a Roma per le ruine de suoi antichi, et superbi edificij, & massime attorno al Tempio della Pace”. In Regione i Capperi sono noti quasi esclusivamente su antichi muri sia di Castelli che mura urbane.
Ruta ( Ruta, specie diverse). Genere piuttosto complesso nel quale sono state riconosciute diverse specie non sempre distinguibili con facilità, ma le cui proprietà sono simili. Mattioli ne parla in due capitoli del Libro III, il XLVII e il XLVIII, indicandola rispettivamente come Ruta e Ruta salvatica; risulta tuttavia aleatorio tentare di identificare queste due forme con le specie attualmente riconosciute; più realisticamente potrebbe trattarsi rispettivamente di forme orticole e selvatiche. Tra tutte la più utilizzata oggi è Ruta graveolens; anticamente tuttavia è probabile che ne venissero usate anche diverse altre specie tra cui R. angustifolia e R. chalepensis.
Smirnio ( Smyrnium olusatrum L.). Lo Smirnio è stato anticamente utilizzato come succedaneo del Sedano, presentando lo stesso sapore. Mattioli lo tratta ampiamente al Libro III, Cap. LXXIII, dove rammenta che si tratta di pianta orticola di buon sapore e dalle molte qualità. Corrisponde a quello che veniva denominato Macerone; compare anche nell’elenco del Capitulare de Villis. Relativamente diffuso in Romagna (molto frequente a San Marino), diviene rarissimo in Emilia, dove ad esempio è noto sui colli bolognesi all’Osservanza.
Violaciocca gialla, Leucoio giallo ( Erysimum (= Cheiranthus) cheiri). Specie termofila a distribuzione mediterranea, è molto apprezzata sia per i fiori dai bei colori da giallo ad aranciato sia per il profumo. E’ trattata dal Mattioli al Libro III, Cap. CXXXII come Leucoio giallo insieme a Matthiola incana (vedi qui sotto) e ne parla così: “Sono fiori in Italia volgari agli horti, alle loggie, & alle finestre, alle mura, & ai tetti: imperoche in tutti questi luoghi, hora in testi, & hora in casette le molto curiose donne per la bontà del loro odore, & vaghezza del colore diverso loro, le coltivano per le ghirlande”; distribuita in regione soprattutto nella parte più calda, dove ad esempio cresce alla Rocca di Majolo, a Montefiore Conca, a Petrella Guidi. In Emilia è nota a Canossa nel Reggiano, e Vigoleno e alla Torre di Bobbiano nel Piacentino.
Leucoio porporeo ( Matthiola incana). Denominata inizialmente (Linnaeus, 1753: 662) Cheiranthus incanus, è stata poi attribuita al genere Matthiola, dedicato a Mattioli. Ben nota nell’Italia mediterranea, viene indicata in italiano come Violaciocca purpurea. Dal Mattioli è trattata con la precedente al Libro III, Cap. CXXXII. Specie rupicola e muricola, in regione è attualmente nota per pochissime località, tutte in Romagna: le mura del Castello di Onferno e Cereto (Cerreto) nel Riminese e Predappio alta nel Forlivese; Zambrini ha comunicato la presenza alla Pieve di Camaggiore, in comune di Fiorenzuola, località amministrativamente in Toscana, ma compresa nella “Romagna biogeografica”.
Erithrodano o Rubbia ( Rubia tinctorum). La Robbia è ben nota pianta tintoria, che da Dioscoride viene denominata Erithrodano e dal Mattioli ripresa come Rubbia domestica al Libro III Cap. CLIV; compare nel Capitulare. Un tempo ampiamente coltivata, viene citata nei repertori floristici antichi dove tuttavia non è chiaro se le segnalazioni si riferiscano a popolazioni coltivate o spontaneizzate. Attualmente in regione, dove era nota per diverse segnalazioni, spesso in ambito urbano o presso insediamenti, è conosciuta per pochissime località.
Ringraziamenti. Per realizzare questa breve monografia, mi sono avvalso di dati raccolti e archiviati nella Banca Dati della flora regionale che sto curando presso l’Istituto Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna. Ho anche chiesto informazioni e aggiornamenti ad hoc a numerosi esploratori della flora del territorio regionale; partendo da Ovest si tratta di: Enrico Romani, Michele Adorni, Luigi Ghillani, Villiam Morelli, Filiberto Fiandri, Claudio Santini, Umberto Lodesani, Fausto Bonafede, Michele Vignodelli, Antonio Zambrini, Sergio Montanari, Eugenia Bugni, Giorgio Faggi, Loris Bagli, Mauro Pellizzari, Filippo Piccoli. Consigli e considerazioni di Livio Poldini sono stati importanti per contestualizzare meglio l’argomento.
Anthirrhinum La Bocca di Leone (Antirrhinum majus) è ben nota specie ornamentale, trattata già nei testi antichi anche per le sue proprietà terapeutiche; vive sulle mura di diverse città e insediamenti minori. Qui fotografata sulle mura di Rimini; per via delle foglie strette potrebbe trattarsi della subsp. tortuosum, di recente individuato in Romagna.
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