Rivista "IBC" XVIII, 2010, 4

biblioteche e archivi / progetti e realizzazioni, leggi e politiche, pubblicazioni, storie e personaggi

È fresco di stampa l'inventario degli archivi che negli anni Settanta, insieme alle competenze, vennero trasferiti alla Regione Emilia-Romagna dalle soprintendenze statali ai beni librari.
Un lungo impegno civile

Luigi Balsamo
[già soprintendente ai beni librari per l'Emilia e Romagna]

Nel 1972, quando lo Stato centrale ha trasferito alle regioni le soprintendenze ai beni librari (istituite nel 1919 con il nome di soprintendenze bibliografiche), gli archivi di queste ultime furono consegnati ai nuovi enti di competenza. Si tratta di documenti preziosi per ogni ricerca storica che si interessi dei libri rari e di pregio conservati nelle biblioteche, delle notifiche e dei restauri sui beni librari, della loro circolazione, della loro conservazione in tempo di guerra, delle attività di promozione della lettura, e via indagando. Il volume numero 71 della collana "ERBA - Emilia Romagna Biblioteche Archivi", pubblicata dalla Soprintendenza per i beni librari e documentari dell'IBC, presenta l'inventario dei complessi archivistici prodotti dalle soprintendenze bibliografiche che erano attive sul nostro territorio, con sede a Modena e a Bologna. Consultabile a breve anche on line (archivi.ibc.regione.emilia-romagna.it), l'inventario è frutto del lavoro di Aurelia Casagrande, Clara Maldini e Francesca Delneri, con il contributo di Francesca Ricci e di Brunella Argelli, che ha coordinato l'intervento. Pubblichiamo una parte dell'introduzione al volume scritta da Luigi Balsamo,1 ultimo soprintendente statale in Emilia e primo fautore della nuova stagione regionale.


La notevole importanza del presente inventario dell'archivio storico sta nel fatto che esso viene a colmare una grave lacuna documentaria che finora ha pregiudicato la storiografia concernente la diffusione della cultura in Italia nell'epoca più recente. Le biblioteche pubbliche costituiscono un'infrastruttura essenziale accanto al sistema scolastico nei suoi vari livelli, ma non hanno ricevuto nel nostro paese molta attenzione, a livello di ricerca, a causa della tradizione elitaria della cultura, nonché della prevalenza della funzione di "tutela" da parte dello Stato sui beni esistenti. Prendiamo nota intanto che gli uffici di soprintendenza nel settore librario furono istituiti, sulla carta, poco meno di un secolo fa (nel 1919) con funzioni affidate a biblioteche statali (in Emilia con sede presso la Biblioteca Universitaria di Bologna) e perciò inserite nel sistema burocratico esistente (significativa la definizione, aberrante sul piano lessicale, di soprintendenze "bibliografiche", corretta nella forma attuale soltanto nel 1971, nonché il fatto che i responsabili nelle loro funzioni dovevano essere coadiuvati dai prefetti, dai procuratori del re, dagli ufficiali di polizia giudiziaria, dai funzionari e agenti della dogana, eccetera: in pratica prevalevano, infatti, le funzioni di controllo su esportazione e importazione di materiale librario notificato). Il primo intervento efficace si ebbe solo nel dopoguerra, quando nel 1948 anche alle soprintendenze bibliografiche venne assegnato del personale specificamente distinto da quello delle biblioteche statali (o governative, come allora erano impropriamente definite).

Qui emerge una prima svolta determinante. Il nuovo personale poté dedicarsi in maniera esclusiva alle funzioni specifiche definite in origine, a cominciare dal censimento e dal sostegno di biblioteche comunali e popolari, compresa l'istituzione di corsi annuali per dirigenti delle biblioteche popolari. Quest'ultima iniziativa, che si affermò perché offriva agli insegnanti un titolo valutabile ai fini concorsuali, ebbe il merito, se non altro, di attirare l'attenzione sulla funzione delle biblioteche, scarse di numero e di risorse economiche. Occorre tener presente che negli anni del dopoguerra si diffusero, un po' in tutto il territorio nazionale, iniziative di carattere culturale per opera di associazioni private e volontaristiche (in Sardegna, per esempio, si ebbero progetti mirati alla lotta contro l'analfabetismo, sostenuti anche dall'Organizzazione europea per la cooperazione economica) ma altresì si verificò una sensibilizzazione nel settore delle biblioteche comunali dei centri maggiori, ricche di materiale antico proveniente dalla soppressione delle congregazioni religiose. C'era la volontà di lavorare concretamente per una nuova e più moderna società nella scia dell'entusiasmo che aveva animato la lotta della Resistenza per la conquista della democrazia, che era una scelta etica e culturale. Istituire delle biblioteche pubbliche accessibili a tutti i livelli sociali fu correttamente riguardata come una soluzione intesa a fornire l'infrastruttura essenziale alla diffusione della cultura al di fuori e anche dopo la scuola dell'obbligo, secondo l'impegno recepito dalla nuova Costituzione repubblicana. È chiaro che tale entusiasmo si poneva, al di là dei limiti burocratici, nella ricerca di nuovi orizzonti di concreta dignità umana in un rinnovato assetto sociale, nella convinzione che la biblioteca pubblica era da considerarsi un "istituto della democrazia".

Fu così che, al fine di superare la stasi e le distorsioni degli anni della dittatura, si guardò alle esperienze dei paesi che ci avevano preceduti nel settore della diffusione della cultura, quindi ai mezzi per favorirla con le infrastrutture di base, cioè le biblioteche. Ci si rese conto, però, che il progetto di una biblioteca pubblica stabile per ogni comune nel nostro paese restava un miraggio, principalmente a causa dell'insufficienza dei mezzi economici. L'attenzione, di conseguenza, si soffermò su un programma di "Servizio nazionale di lettura" esteso in forma omogenea all'intero territorio nazionale, da attuare attraverso delle "Reti di prestito", ovvero di un servizio mobile di prestito gestito da un centro fisso che doveva provvedere nuclei di libri a rotazione (per esempio mensile) a sedi periferiche funzionanti come centri di lettura. Questo progetto, ispirato alla public library diffusa nei paesi di lingua inglese sulle due rive dell'Atlantico, si fondava sul principio che anche i cittadini residenti nelle zone rurali dovessero disporre di un servizio che, almeno tendenzialmente, li ponesse in condizioni analoghe agli abitanti delle città; e venne infine inserito nel "Piano di sviluppo economico 1965-1969" con lo stanziamento di un fondo nazionale di 5 miliardi di lire (contro i 10 richiesti).

L'opera delle soprintendenze in questo ambito risultò determinante grazie alla collaborazione avviata con gli enti locali, in particolare con gli assessorati provinciali, al fine di stabilire impegni normativi da parte dei comuni aderenti. Reti di prestito furono istituite in molte regioni della penisola, compresa Emilia e Romagna, e anche in Sardegna, ed ebbero un'accoglienza che non fu inferiore alle aspettative poiché il sistema veniva incontro a un'esigenza reale. In molti casi furono le stesse soprintendenze a gestire direttamente le reti di prestito, come mostrano gli esempi di Modena e Bologna, ma si ebbero altresì interventi mirati a rafforzare singoli istituti dotati di fondi librari antichi di particolare interesse, come quelli di Correggio e di Reggio Emilia. Chi vorrà approfondire gli eventi di quel periodo potrà appurare, attraverso le carte di questo archivio storico, le situazioni pratiche censite dalle soprintendenze e confrontarle con le ben diverse realtà attuali, per rendersi conto delle profonde trasformazioni avvenute: ancora nei primi anni Sessanta, pure in Emilia, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, le biblioteche comunali mancavano sovente della stessa documentazione patrimoniale (il cosiddetto "registro cronologico d'entrata"), mentre assai lacunosi e sommari erano i "cataloghi" destinati a consentire il pronto accesso ai libri da parte dei lettori. A Correggio fu ampliata la sede nello storico Palazzo dei principi, dotandola di scaffalature e arredi metallici per i magazzini e di una sala di consultazione, mentre i settecenteschi scaffali lignei esistenti furono riservati alla raccolta di libri antichi provenienti da fondi conventuali. La ricostruzione poggiava sulla visione della biblioteca come centro di informazione e di elaborazione culturale, perciò presentava alcune importanti novità, quali la sezione di lettura riservata ai ragazzi e, ancor più, una sezione staccata per l'ascolto della musica sia individuale (con l'uso delle cuffie) sia collettiva in forma di concerto pubblico, un'iniziativa davvero pionieristica all'epoca (1971), quando tra l'altro per la riproduzione si avevano solo i dischi tradizionali (i CD sarebbero arrivati circa due decenni dopo).

Significativo anche il fatto che la Biblioteca comunale di Reggio Emilia (nata dalla fusione della Municipale e di quella Civica popolare) sia stata intitolata in quegli anni ad Antonio Panizzi, il cui nome è legato all'organizzazione, nel secolo XIX, della famosa Biblioteca del British Museum (ora "The British Library"), diventata un punto di riferimento internazionale in ambito bibliotecario: alla base della ricostruzione della biblioteca di Reggio Emilia c'è stato proprio il programma del grande esule carbonaro, di origine reggiana, che trasformò un'istituzione dedita alla semplice esposizione di preziosi cimeli, rendendola uno straordinario strumento di libertà culturale. Egli infatti volle che fosse mirata a rendere l'istruzione, lo studio e la ricerca accessibili a tutti i cittadini, a cominciare dai giovani, in modo da consentire loro di superare gli ostacoli di carattere economico, cioè di offrire condizioni di uguaglianza sociale: "Io voglio" - affermava in un rapporto agli amministratori del Museo, nel 1836 - "che uno studente povero possa avere le stesse possibilità di soddisfare i propri interessi di studio, di eseguire il suo lavoro scientifico, di consultare gli stessi testi, di approfondire le più complesse ricerche allo stesso modo, per quanto riguarda i libri, dell'uomo più ricco di questo paese, e sostengo che il Governo è tenuto a dargli, a tale riguardo, la più liberale e illimitata assistenza".

Un programma rivoluzionario, a quel tempo, anche per la liberale Inghilterra; egli fu capace di realizzarlo nel giro di qualche decennio, mentre a distanza di più di un secolo rimase in gran parte disatteso nel nostro paese; ora, in Emilia, è stato possibile attuarlo in più casi grazie all'impegno di bibliotecari dotati di un'ottima professionalità. [...]

Il modello panizziano ha continuato ad animare, anche in seguito, varie iniziative nella nostra regione; tra esse, l'ammodernamento e l'espansione dei servizi bibliotecari del Comune di Bologna che, dopo l'attribuzione degli incarichi dirigenziali attraverso concorso pubblico, si sono meglio articolati a diversi livelli: da quello della valorizzazione dei fondi antichi dell'Archiginnasio a favore degli studi di livello superiore, all'espansione della lettura pubblica per tutti attraverso le biblioteche di quartiere, completate poi dalla "Sala Borsa", così definita per la nuova sede, divenuta simbolica per la sua avanzata, e per diversi aspetti pionieristica, organizzazione. Aggiungasi che la Biblioteca dell'Archiginnasio, oltre all'adozione della nuova tecnologia telematica nei servizi di informazione interna, ma altresì disponibili per i lettori, ha realizzato un altro singolare aspetto del progetto di Panizzi: quello del controllo e della raccolta del materiale librario depositato in base al diritto di stampa, con competenza territoriale a tutta la regione Emilia-Romagna.

Un'ulteriore svolta determinante si era verificata nel 1972, quando le soprintendenze ai beni librari e documentari erano state trasferite agli assessorati alla pubblica istruzione delle regioni a statuto ordinario, alle quali fu delegato l'esercizio delle funzioni amministrative a esse spettanti. Si aprirono nuove prospettive grazie alle caratteristiche dell'istituto regionale rispetto a quella di semplice fornitura di servizi, prevalente, prima di allora, negli enti locali. In Regione diventava possibile, nel settore della cultura, avviare attività di ricerca, programmazione e promozione, lasciando la gestione dei servizi agli enti locali, chiamati tuttavia a una partecipazione democratica nella formulazione dei programmi di intervento regionale (una partecipazione positiva e fruttifera già sperimentata in precedenza, per esempio, nelle province di Modena e Ferrara).

Per onestà occorre dire che il passaggio agli inizi non fu del tutto facile, a causa delle incrostazioni burocratiche prevalenti, a livello di certi uffici centrali, sulla professionalità in materia di biblioteche, dalle quali le soprintendenze si erano in gran parte liberate già in ambito ministeriale. Ben presto tuttavia (nel 1974) fu costituito l'Istituto regionale per i beni artistici, culturali e naturali (IBC), quale organo tecnico-scientifico e strumento di programmazione cui venne affidato il compito di promuovere e svolgere attività conoscitiva e operativa (indagini, ricerche, interventi di conservazione e valorizzazione dei beni artistici, culturali e naturali, consulenza alla Regione e agli enti locali). Fu, questa, una novità esemplare, specie per la globalità della visione dei problemi attinenti i vari settori della cultura, e di esso venne a far parte, fin dal 1983, la Soprintendenza per i beni librari e documentari della Regione Emilia-Romagna; l'attività dell'Istituto suddetto è diventata ancor più incisiva quando acquistò autonomia statutaria e finanziaria (1995) e poté operare con autonomia scientifica, organizzativa e contabile, confermando così la preminenza della professionalità delle persone addette rispetto agli aspetti burocratici.

Possiamo definirla, dunque, una vicenda complessa quella delle soprintendenze per i beni librari, le uniche trasferite dall'apparato statale a quello regionale. Esse hanno avuto, in Emilia e in Romagna, una ricostruzione per diversi aspetti esemplare per efficienza, come si evince dalle numerose e originali iniziative attuate pure in campo editoriale, una delle quali, non certo minore, è appunto la pubblicazione del presente inventario dell'archivio storico. Gli atti in esso conservati potranno far conoscere fatti ed eventi succedutisi nel passato e tuttora poco noti, che mostrano come la positiva realtà attuale, intesa a conservare e valorizzare i beni librari e documentari, non sia certo dovuta a casualità bensì sia frutto di un lungo, cosciente impegno che ha coinvolto più generazioni.


Nota

(1) Nel volume (Gli archivi delle Soprintendenze bibliografiche per l'Emilia Romagna. Inventario, Bologna, Editrice Compositori, 2010) il testo integrale ha un titolo diverso: L'impegno civile delle Soprintendenze bibliografiche.

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