Rivista "IBC" XIX, 2011, 1

musei e beni culturali, biblioteche e archivi / convegni e seminari

"Sguardi incrociati. Le identità alimentari in Europa", Bologna, 17-21 gennaio 2010.
Ricette in viaggio

Margherita Spinazzola
[IBC]

Fra il 17 e il 21 gennaio 2010, a Bologna, si è tenuto "Sguardi incrociati. Le identità alimentari in Europa", ciclo di tavole rotonde organizzate dal Master europeo "Storia e cultura dell'alimentazione" dell'Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, in collaborazione con i servizi Europe Direct della Regione Emilia-Romagna e del Comune di Bologna. L'attività rientra nel Programma europeo "Lifelong Learning" e ha visto la collaborazione della Université François-Rabelais di Tours, della Universitat de Barcelona, della Université Libre de Bruxelles e della Vrije Universiteit Brussel. Oltre a un attento pubblico locale, sono stati coinvolti studenti "Erasmus" provenienti da Francia, Italia e Belgio, che hanno assistito alle lezioni condotte da specialisti dei quattro Paesi partecipanti al master.

Gli incontri sono stati coordinati da Antonella Campanini, della Facoltà di scienze gastronomiche, che ha introdotto ogni sessione (ciascuna dedicata a un tema differente) nel segno di Pellegrino Artusi. Gli sguardi si sono incrociati fra diverse lingue, epoche, temi e discipline, dalla storia all'antropologia. Alla medievista Campanini, che illustrava la ricerca della temperanza sulle tavole di corte, spesso imposta e altrettanto spesso infranta, ha fatto riscontro l'intemperanza del lusso e della ritualità che caratterizzavano i pasti serviti nei vagoni-ristorante tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, studiati nel loro insieme di "ristorazione che viaggia" da Jean-Pierre Williot. In entrambi i casi, il significato dell'opulenza assumeva, anche, caratteri dimostrativi di distinzione sociale, di affermazione e di potenza.

L'identità sociale del mangiare si esplica, ovviamente, attraverso cucine nazionali, regionali e locali, le cui ricette si tramandano, si evolvono, si ibridano in menu, rappresentazioni grafiche, ricettari e trattati di cucina. Massimo Montanari distingue, nel termine "nazionale", fra geografia e appartenenza culturale, fra cucina e prodotto locale, fra cibo inteso come elemento di distinzione personale e sociale nel Medioevo, e cibo come elemento identitario (in quanto eguagliante e distintivo di un territorio) oggi. Montanari ha parlato anche della denominazione del prodotto locale e della ricetta, dove la città italiana afferma la sua supremazia distributiva sul contado produttore, battezzando ora il formaggio (parmigiano), ora la bistecca (milanese), contrariamente a quanto avviene in Francia, dove il prodotto mantiene la denominazione rurale, lasciando la superiorità politica cittadina al piatto cucinato.

María de los Ángeles Pérez Samper incrocia storia medievale, bibliografia e gastronomia di una Spagna scacchiera di varie etnie e piattaforma girevole di prodotti esotici, entrati nell'uso quotidiano. Musulmani ed ebrei, pur se obbligati alla conversione, mantenevano le proprie tradizioni alimentari; il cioccolato, la patata, il pomodoro, sbarcavano dalle Americhe e dalla penisola iberica partivano per altre aree sotto l'influenza dei re cattolici. Ma cosa fa di una ricetta un piatto paradigmatico? E può, quest'ultimo, essere definito un piatto tradizionale? Certo: il cioccolato, da spumosa e amara bevanda imperiale di Montezuma, diventa golosità reale dolce e speziata, democratizzandosi nel tempo fino a diventare piacere quotidiano; il gazpacho, da poverissimo piatto contadino del XVII secolo, diventa prelibatezza rinfrescante.

Entrambi i prodotti parlano spagnolo, come la bouillabaisse si esprime in un francese dal forte accento marsigliese ed è sulla canonizzazione del procedimento che ancora una volta si sono incrociate le prospettive: da una parte la pretesa autenticità invocata dalle zuccherose iconografie delle cartoline regionali francesi e le iperboli dei menu patinati, dall'altra la rivendicazione regionalista spagnola che non esita a creare un falso Medioevo, se questo può servire a dare patente di nobiltà (e credibilità) a ricette del tutto avulse dalla tradizione locale. Che dire, del resto, dell'odierna editoria di settore in Italia, che in libri nati per non essere letti propone un falso passato della nonna, fatto di carta rustica e magari in nostalgico corsivo? Chiari e decisivi sono stati, su questo aspetto, gli interventi di Antoni Riera Melis e di Alberto Capatti, che hanno magnificamente messo le mani in pasta, distinguendo aspirazione da realtà, storia da arcaismo, con il contributo di prospettiva dato da Williot e Pérez Samper.

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