Rivista "IBC" XX, 2012, 2

biblioteche e archivi / immagini, pubblicazioni, storie e personaggi

Appennino, marzo 1945: un soldato americano fotografa una famiglia di sfollati sopra un carro. Sessantacinque anni dopo, qualcuno restituisce un nome e un ricordo a quegli uomini, a quelle donne e a quei bambini.
Ritrovarsi in una foto

Vito Paticchia
[IBC]

In queste pagine racconteremo la vicenda di una foto, di una sequenza video e di una famiglia intorno alla quale si sono intrecciate ricerche e testimonianze che hanno prodotto una documentazione suggestiva su una pagina di storia dell'Appennino: lo sfollamento, con migliaia di civili allontanati dalle loro case mentre si combatteva lungo la Linea Gotica.1


Washington, gennaio 1992

Un freddo polare imperversa lungo tutta la costa orientale degli Stati Uniti: la Virginia e il piccolo Distretto di Columbia sono strette in una morsa di gelo, che le acque del Potomac non arrivano a mitigare. All'interno di un grande edificio pubblico dove sono conservati milioni di immagini scattate su tutti i fronti di guerra dai fotografi della speciale Picture Branch impegnata nelle operazioni belliche americane della Seconda guerra mondiale, due ricercatori sfogliano numerosi album per selezionare le foto più belle e più significative del nostro territorio e della nostra gente. Hanno una missione da compiere: acquisire per gli archivi regionali dell'Emilia-Romagna documentazione inedita sulla liberazione dei comuni dell'Appennino a partire dall'ottobre del 1944, ma soprattutto sulla vita, le sofferenze, le aspettative della popolazione civile e i rapporti con i liberatori.

Non avendo accesso a tutti i fotogrammi originali, i ricercatori possono solo guardare gli album e le foto messe a disposizione del pubblico. Il tempo a disposizione non è molto: sfogliano febbrilmente, cercando le immagini più significative, le confrontano, scambiano velocemente dei giudizi e poi ognuno di loro si tuffa nel proprio album, cercando di guardare quante più immagini possibili, annotando quelle che avrebbero poi riportato in Italia. Alla fine, sono 475 le immagini selezionate: soldati impegnati in operazioni militari, riprese panoramiche o aeree dell'Appennino, danni ai centri abitati nelle fasi cruciali del passaggio del fronte, foto drammatiche della strage di Ronchidos, il giorno della liberazione di Bologna, distribuzioni di viveri e momenti di vita quotidiana della popolazione civile.

Tra queste, l'immagine di una famiglia di sfollati: una madre sorridente con un bimbo stretto al petto, che affianca un carro trainato da una coppia di mucche; sul carro, una ragazzina con un bimbo in braccio, un bambino di spalle e un'anziana avvolta in una coperta, ripresa in una espressione di disagio. La didascalia originale, redatta da Edwards, fotografo americano del Signal Corps Photo, recita: "Transporting all their personal belonging in a car, these refugees from Monteforte, liberated by yank mountain troops on March 4, 1945, travel towards Bombiana - Italy 3/5/45".2


Bologna, giugno 1994

In occasione delle celebrazioni per il 50° anniversario della liberazione, la documentazione raccolta in America viene presentata al pubblico e al mondo accademico in una grande mostra che si inaugura nella Sala dello Stabat Mater e nel porticato della Biblioteca comunale dell'Archiginnasio. La mostra è accompagnata da un catalogo con testi e foto.3 La straordinarietà delle immagini e dei documenti inediti sancisce il successo dell'iniziativa, che nei due anni successivi viene presentata in tutti i comuni dell'Appennino e nei luoghi rappresentati dalle foto.

Sorrisi di ragazzi e bambine senza nome, volti di adulti scavati dalla fame e dalle privazioni, visi di madri con i loro piccoli e di anziani impietriti dal dolore, o sorridenti per l'arrivo dei liberatori, pian piano riacquistano una identità, un nome e, con essi, anche il territorio, i crinali, le valli e i borghi dell'Appennino si riappropriano di quegli eventi e ritornano protagonisti della storia. Luoghi di memoria, di dolore, di libertà, dove riecheggiano le parole di Piero Calamandrei rivolte ai giovani: "Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i nostri partigiani...".4


Montese, aprile 1999

Nei corridoi del Municipio, in occasione dell'inaugurazione del Museo storico, viene ristampata e incorniciata anche la foto della famiglia sfollata sul carro, e centinaia di occhi la osservano: alcuni alla ricerca di un segnale, di un ricordo, di un dettaglio per dare un nome a qualcuno di quei volti.5 La nota anche un medico, un veterinario, Silvano Monti, colpito dalla scena e da quei volti a lui così familiari, lui che frequenta per lavoro le case e le stalle contadine sparse per la montagna, nelle valli tra il Reno e il Panaro, dove la foto è stata scattata.

Da lì a qualche anno, Silvano rivede la stessa scena, la stessa famiglia, in un documentario che un giovane regista della zona ha preparato utilizzando brevi filmati conservati presso l'Istituto Luce.6 Questa volta, però, i volti sono ripresi da vicino, e la cinepresa ritrae anche altri componenti della famiglia, un adulto e dei ragazzi che seguono il carro: davanti e dietro, altre famiglie di sfollati con le povere masserizie ammassate sui carri, mentre un'auto della Croce Rossa fiancheggia il corteo che prosegue lentamente sulla strada polverosa.

Lo sguardo penetrante di un ragazzo che fissa l'obiettivo emoziona il medico e lo scuote nel profondo: è lo sguardo di un ragazzo che la guerra e le privazioni hanno maturato e indurito precocemente. Lo vuole conoscere, incontrare, abbracciare, quasi a riparare le ferite della guerra; a risarcire, a distanza di sessant'anni, quel calore che gli è mancato, quell'innocenza che la guerra gli ha strappato. Ma, sopra ogni cosa, sente il bisogno di recuperare la memoria di quell'esperienza, salvarla dall'oblio, farla conoscere ad altri, ai suoi figli, agli amici dei suoi figli, ai nuovi arrivati, ai migranti che popolano queste terre e che altre guerre, carestie, dittature, violenze, hanno allontanato dalle loro case. Vorrebbe ritrovare, magari, una ragione comune per convivere, per rispettarsi, per sentirsi parte di una stessa umanità.


Appennino, 2010

Da tempo Silvano raccoglie testimonianze e documenta la varietà di cultura, di passione, di caparbia resistenza alle difficoltà da parte di tanti personaggi che popolano la montagna: figure straordinarie, la vera ricchezza di un territorio che la miopia e la debolezza di tanti amministratori sta consegnando alla speculazione, al saccheggio, alla distruzione.7 Pagine di storia si arricchiscono ora di voci, di volti, di gesti che i libri hanno trascurato, o che comunque non sarebbero riusciti a descrivere nella loro drammaticità.

La violenza della guerra civile vista attraverso gli occhi delle bambine; la fucilazione di tre contadini sulla pubblica piazza a Castel d'Aiano, all'uscita della messa domenicale, raccontata dai ragazzi che vi hanno assistito, guardando i loro occhi, rivivendo il terrore e la brutalità nell'essenzialità delle loro parole. Il biroccio trainato dai buoi, protagonista ricorrente di tanti ricordi, utilissimo per sfollare, per trasportare feriti, per sopravvivere: un bene prezioso, da sottrarre alle razzie dei tedeschi. Il rapporto stretto, protettivo, familiare con gli animali da cortile, ora la gallina, ora la capretta che bussa alla porta per farsi mungere e diventa unica fonte, preziosa, di sostentamento e sopravvivenza.

E poi la fuga, nascondere e nascondersi, sottrarre alla guerra e alla violenza il figlio o la figlia, il partigiano ferito o il prigioniero braccato, e improvvisare nascondigli sicuri all'interno di quella povera realtà contadina: nello stalletto, sotto lo strame, nel pagliaio, nella stanzetta murata, nel solaio, nel campanile, nella cavità di un castagno. A questo ascolto si aggiunge ora una domanda, una richiesta: scandagliare la memoria per dare un nome a quelle figure che si muovono intorno a un carro, a quegli occhi che bucano l'obiettivo e colpiscono dritto al cuore, fanno sobbalzare e penetrano nel profondo.

Qualcosa si smuove, ma quella scena non è nuova, è comune a migliaia di civili che l'hanno vissuta in prima persona: lunghe file di povera gente ai bordi delle strade percorse da centinaia di mezzi militari, camion, automobili, soldati sorridenti, quasi sempre generosi, talvolta in compagnia di prigionieri ancora astiosi e offensivi verso i civili.


... Eravamo in tanti, c'era la fila come la processione, a passare la linea... Donne, bambini e anziani, perché di giovani, o erano soldati, o erano nascosti o erano partigiani...8


Di bocca in bocca, di racconto in racconto, prende corpo un filo sottile, che si snoda di casale in casale. Dalla valle del Reno sale a Costonzo, si inerpica su per il Sasso, scende all'Aneva e risale a Valbura, ridiscende al Vergatello, si aggira per Roffeno e punta a Villa d'Aiano.


... Questo signore mi ricorda qualcuno, un signore che lavorava a Villa d'Aiano, ai Bernardi, che trasportò mio padre, che era ferito, da Villa d'Aiano fino a Casa Natali di Castel d'Aiano, con il biroccio e le vacche...9


La traccia si rivela fuorviante, ma la ricerca continua e il filo si arricchisce di nuovi particolari, si irrobustisce. Dal Mulino di Gea aggira il Montello, sosta a Cà del Gallo, passa sotto villa Righi, attraversa Montese e si dirige deciso verso una porta.

Bussa... Apre un uomo. Guarda il filmato e i suoi occhi incrociano prima quelli della bimba sul biroccio, e, subito dopo, quelli del ragazzo. Un sussulto.


... Siamo noi. Vedo mia sorella con il bimbo piccolo in braccio, e tutti i miei... Mio padre, i miei fratelli... Siamo tutti noi, eravamo in 14. Sul biroccio c'è mia nonna, si chiama Alberta. La ragazza è mia sorella Stefanina, ha in braccio il bimbo più piccolo, Dario: si chiama Dario, questo qui. Noi siamo tutti bimbi, andiamo dietro il biroccio quando stiamo sfollando da Monteforte. Siamo andati a Bombiana, passando da Iola. Siamo andati a Bombiana perché mio zio abitava alla Doccia, nel Bolognese.

Siamo partiti perché sono arrivati gli americani, però non li abbiamo visti gli americani, erano distanti un chilometro... C'era un bosco e abbiamo sentito sparare, e poi è rimasto ferito mio nonno; mio nonno era in casa, si è allungato per prendere della legna che era fuori dalla porta, e nel prendere la legna è rimasto ferito nella coscia. Allora siamo usciti fuori con un lenzuolo bianco, sono arrivati gli americani che l'hanno preso e portato all'ospedale di Porretta. Poi siamo partiti anche noi.

I soldati li abbiamo incontrati giù, prima di arrivare, nei pressi di Iola, che c'era un campo con tutte le tende bianche, della Croce Rossa, perché si sentiva della gente lamentare. Si vede che c'erano dei feriti, si sentivano lamentare quando siamo passati col biroccio...


Il ragazzo ora ha un nome, una famiglia, il calore di una casa. Il suo sguardo inquieto si è sciolto in quello di Vittorio Bernabei, e ha riacquistato il sorriso tranquillo della maturità.


Note

(1) La storia è ricostruita nel film La roba sover e broz, regia di S. Monti, Vergato (Bologna), 2011.

(2) "Trasportando tutto ciò che posseggono su di un carro, questi rifugiati provenienti da Monteforte, liberata dalle truppe americane di montagna il 4 marzo 1945, viaggiano verso Bombiana (5 marzo 1945)". La fotografia è stata pubblicata anche nel n. 2-2007 di "IBC" (a pagina 86).

(3) Combat Photo 1944-1945. L'Amministrazione militare alleata dell'Appennino e la liberazione di Bologna nelle foto e nei documenti della 5a Armata americana, a cura di V. Paticchia e L. Arbizzani, Bologna, Istituto per i beni artistici culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna - Grafis edizioni, 1994.

(4) P. Calamandrei, Discorso sulla Costituzione, Milano, 26 gennaio 1955 (www.napoliassise.it/costituzione/discorsosullacostituzione.pdf).

(5) Un gruppo di sfollati..., in Combat Photo, cit. p. 183.

(6) Fuoco sulla montagna. La Linea Gotica fra il Reno e il Panaro, regia di M. Managlia, Montese (Modena), 2002.

(7) I grandi della montagna, regia di S. Monti, Vergato (Bologna), 2010.

(8) Testimonianza di Liliana Credi, in La roba sover e broz, cit.

(9) Testimonianza di Linda Zeri, in La roba sover e broz, cit.

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