Rivista "IBC" XXVII, 2019, 2

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Versi di pianura e di terre e di acque

Ivan Orsini
[IBC]

Ritorniamo col ricordo a inizio anno. Allora avevamo letto La lingua degli angeli, silloge poetica di Stefano Rovinetti Brazzi, recensita nel numero 1/2019 della rivista IBC. L’impressione generale emersa dalla lettura era quella di una meditazione seria, ma non priva di qualche contrappunto scherzoso, su alcuni temi cruciali dell’esistenza: il tempo, il silenzio, la memoria e il dolore. Si trattava della seconda opera poetica del nostro autore; la prima invece risale a poco più di una decina di anni fa, più precisamente al 2008. Venerazione per un verso d’anatra manifestò fin da subito la vocazione al poetare in dialetto. La presenza, in entrambi i libretti, della traduzione italiana a fianco dell’originale, da un lato testimonia la volontà di rivolgersi a una platea ampia, una parte della quale appunto può non essere dialettofona, dall’altro lato propone una sorta di convergenza delle due lingue sui medesimi soggetti, in una dimensione di costante confronto e rimando reciproco.

Il titolo Venerazione per un verso d’anatra, dal sapore intrigante, introduce a quella pianura di terre e di acque dove è nato e cresciuto il poeta. Questo orizzonte infinito accoglie in zone palustri animali selvatici come l’anatra del titolo e il coniglio di Pèṡ ala tô ânme Ánne ch’a la crȗve. Il mondo che affiora dai componimenti di questa e della seconda raccolta è una realtà rarefatta; tanto impercettibili sono i contorni fisici, quanto perentori sono i pensieri, riconducibili a quei toni elegiaci ed epigrammatici cui rinvia, nella sua postfazione, Roberto Fiorini.
Compaiono qui, anticipati, i motivi prima citati, che ritorneranno nell’antologia del 2018.
Il tempo trascorre irrefrenabile e cambia il volto a tutto, così tutto muta (“Ad quáll ch’a vdáṅṅ e a giáṅṅ al s crȗv al täṅṅp”, “Di quello che vediamo e diciamo si copre il tempo”). Sembra quasi che il tempo sia la pelle del creato in costante trasformazione.
Il silenzio racchiude più valenze, ora positive (ripiegamento del sé entro il perimetro della propria interiorità, per riflettere e soppesare la prossima mossa), ora negative (percepito come stato di assenza di voci umane).

La voce umana rappresenta, inoltre, la chiave di lettura della memoria. Quest’ultima non va intesa nei termini di una conservazione e trasmissione della parola scritta sotto forma di rotoli e libri, quale potremmo eventualmente attenderci dal professore di lettere del liceo classico Rovinetti Brazzi. La memoria qui presente consiste nel ricordo tramandato di bocca in bocca, che suscita emozioni e ricordi e ‒ quel che è più importante ‒ lega persone di differenti generazioni. Si cerca di salvaguardare saperi, ma anche e soprattutto legami interpersonali che altrimenti cadrebbero nell’oblio, storie, frammenti di vita vissuta.
Il dolore trova poi spazi e risonanze inaspettatamente divergenti in due poesie contigue l’una all’altra: Konzentrationslager neuengamme e La tiṅpèste la pécce al fói (“La grandine picchia le foglie”). Dal dolore vertiginoso, “universale” dei lager alla sofferenza che prelude a una palingenesi aperta al futuro.
Un afflato spirituale, di matrice religiosa, pervade il libro sospeso in un equilibrio incerto, entro un perimetro invisibile e tutto da ri-definire.

Volume:

Stefano Rovinetti Brazzi, Venerazione per un verso d’anatra, Il Capitello del Sole, Bologna, 2008.

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