Rivista "IBC" XXVII, 2019, 4
musei e beni culturali, biblioteche e archivi / linguaggi, pubblicazioni
Una festa in onore del dialetto tenutasi a Castel San Pietro a gennaio del 2019, qualche giorno dopo la giornata nazionale dedicata al vernacolo, fu l’occasione propizia per il sottoscritto per conoscere parte della comunità locale. Immergersi per due ore in un’atmosfera paesana è stata un’esperienza particolare, per me inconsueta ma davvero gratificante. La grande città ‒ e, nel caso di Castel San Pietro, il riferimento è ovviamente Bologna ‒ oramai da tanto tempo ha perduto i tratti propri delle piccole compagini urbane. Centri minori come Castello sono già avviati nella stessa direzione, ma le dimensioni ancora ridotte e la coesione interna alla società lì residente permettono di respirare un’aria diversa, di nutrire un sentimento più raccolto, che si appaga dell’orizzonte lontano, tra la pianura e le prime colline, e che trova proprio in questo limite una compiuta misura alla scansione dei grandi e piccoli gesti quotidiani.
Giorgio Biondi, autore di alcune pubblicazioni dedicate a Castel San Pietro, in particolare alla sua storia plurisecolare, in
Al dialàtt castlän (Il dialetto di Castel San Pietro Terme
) ha composto un quadro del dialetto indigeno, che mostra diverse affinità con quello bolognese. Di questo, comunque, non è corretto dire che esso sia una variante rurale, perché così si riconoscerebbe un ruolo preminente al dialetto bolognese che sul piano propriamente linguistico non sussiste.
Il maggior pregio del presente lavoro risiede nella capacità di riunire entro un agile volume una pluralità di prospettive da cui guardare al dialetto castellano. La presentazione di Vincenzo Zacchiroli e la premessa dell’autore leggono con occhi disincantati la realtà e riconoscono il percorso discendente ‒ apparentemente irreversibile ‒ intrapreso dal vernacolo, che prelude alla sua estinzione; tuttavia, se da un lato testimoniano questa condizione critica, dall’altro lato non possono dimenticare quale ruolo imprescindibile abbia svolto per secoli, sul territorio il dialetto. Ecco che allora quella che era la lingua utilizzata da tutto il tessuto sociale fino a qualche decennio fa, torna protagonista tra queste pagine: era una risorsa espressiva per chiunque volesse confrontarsi con il parente, il vicino, il compaesano sul piano delle emozioni e delle idee, che trovavano nella vita di quel piccolo mondo le ragioni del proprio esistere.
Un'introduzione storico − linguistica lascia spazio alla descrizione delle parti della grammatica del dialetto castellano: fonetica, morfologia e sintassi. Pochi chiari esempi corredano la teoria tratteggiata nelle sue caratteristiche essenziali, ma né i primi né la seconda eccedono, appunto, i limiti di una illustrazione volutamente basica perché riesca accessibile a chiunque. Inoltre, non possiamo che concordare sulla seguente riflessione di Biondi a pag. 32: “Come è intuibile non si possono indicare tutte le varie espressioni dialettali: ci vorrebbero testi completi di grammatica, di sintassi, di vocabolario e … e poi non basterebbero per imparare il dialetto. Per poterlo capire e soprattutto parlare correntemente, occorrerebbe essere nati fra noi e sentirlo parlare e parlarlo fin dalla prima infanzia.” È una riflessione che può essere estesa a qualsiasi lingua o dialetto.
Giustamente l’autore evidenzia a più riprese come la progressiva scomparsa del castellano si accompagni al graduale sfaldamento di quella trama di oggetti, attività, relazioni che costituiva la cifra di un passato inframurario neanche troppo lontano. Non esistono poi rimedi alla sparizione di un passato depositatosi nelle parole che lo vivificarono e lo trasmisero. Personalmente confidiamo nel ruolo di supporto che possono svolgere corsi e laboratori di dialetto, ma riteniamo inevitabile che questa operazione possa sembrare controcorrente ed antiquaria.
Numerose parole dell’italiano rivelano, dietro l’adeguamento fonetico alla lingua ufficiale, un volto dialettale. Non fa eccezione l’italiano di Castel San Pietro.
In dialetto non solo si conversava al mercato del lunedì, istituito da papa Giulio II, ma ci si esprimeva anche poeticamente per raccontare con
zirudèle la cronaca più o meno recente, e talora si racchiudeva nel giro di una o due frasi una pillola di saggezza popolare. Inoltre, ogni professione artigianale disponeva di un lessico estremamente minuzioso; uno spazio speciale nel libro viene appunto riservato al gergo dei canapini/cordarini, che fino al secondo dopoguerra intrecciavano corde delle dimensioni più varie per finalità molteplici, che spaziavano dall’ambito domestico e agreste a quello della marina militare.
Desideriamo in conclusione complimentarci per un’opera che, a nostro avviso, contribuisce fattivamente a quel tentativo di resistenza all’oblio che rappresenta un atto assolutamente meritorio se in gioco c’è, se non la vita, anche solo la memoria del dialetto.
Riferimenti bibliografici:
Giorgio Biondi, Al dialàtt castlän (Il dialetto di Castel San Pietro Terme), Tipografia F.lli Cava, Castel San Pietro Terme, 2007. Pagg. 127, euro 10.
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